Ecobonus tagli alla cultura: uno slogan che il governo Letta aveva promesso di evitare, ma evidentemente non è stato così. Riportiamo parti di un articolo di Gian Antonio Stella apparso sul Corriere della Sera che spiega molto chiaramente la situazione.
“Sia chiaro: nessuno mette in discussione la scelta degli «Ecobonus» varati dal governo per le ristrutturazioni edilizie e l’efficienza energetica allargatati agli elettrodomestici, ai condizionatori, alle caldaie e alle pompe di calore. Il guaio è che per rastrellare i denari indispensabili per concedere questi incentivi, come ricorda il presidente dell’Associazione Italiana Editori Marco Polillo in una lettera polemica a Enrico Letta, è stato deciso di portare dal 4 al 21%, a partire dal 1 gennaio prossimo, l’Iva sulle «opere culturali (contenuti digitali, musica, audiovisivi) veicolate in abbinamento alle pubblicazioni librarie e periodiche».
L’obiettivo in realtà, «come si evince dalle dichiarazioni pubbliche in sede di presentazione del provvedimento», era quello di colpire l’andazzo di allegare a questa o quella rivista, questo o quel libro, i gadget più strampalati. Dal berrettino al burrocacao, dalla crema antirughe alla borsa da spiaggia, dagli occhiali da sole al materassino.
Ma si tratta, secondo Marco Polillo, di «un equivoco: colpire i gadget può essere misura condivisibile in un momento in cui ciascuno è chiamato a rinunciare a privilegi e benefici ingiustificati. Tagliare la cultura no». La norma invece fa di ogni erba un fascio. E «nel settore librario ciò significa colpire soprattutto i contenuti digitali innovativi allegati ai libri.
I prodotti più colpiti sono i libri educativi (libri scolastici, universitari, sussidi come dizionari o enciclopedie) che frequentemente hanno un’estensione digitale: eserciziari, approfondimenti, simulazioni di laboratorio virtuale, ecc.; i libri per bambini spesso accompagnati da audio-letture; quelli professionali o preziose operazioni culturali basate sul multimediale (si pensi ai testi teatrali accompagnati dal video di una rappresentazione)».
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Che senso c’è, chiedono gli editori, se lo stesso Enrico Letta aveva preso l’impegno il giorno in cui si insediò a non fare mai più tagli alla cultura? L’Unione Europea, insiste l’associazione editori, «con la Direttiva 47 del 2009, ha introdotto la possibilità di equiparare l’Iva sui libri cartacei con quella dei libri digitali su supporto fisico.
Mentre gli altri Stati membri implementano la Direttiva, in Italia si abolisce l’unico caso — quello dei libri misti — in cui l’equiparazione già esiste, caso per altro presente in pressoché tutti i Paesi europei». Una contraddizione plateale: uno su quattro dei libri scolastici è integrato con materiale digitale che aiuta gli insegnanti a insegnare e gli studenti a studiare. E la formula del «libro misto» cresce anche tra i manuali universitari.
A farla corta: almeno per i testi scolastici la quintuplicazione dell’Iva andrebbe ritirata. Tanto più che colpirebbe direttamente le famiglie. Eppure un ordine del giorno in questo senso, votato all’unanimità al Senato, non è stato preso in considerazione dal governo.
E torniamo alla domanda iniziale: che senso c’è, in questo momento di crisi, nel dare una mano alle aziende (a volte multinazionali) che producono condizionatori o lavastoviglie dando insieme una stangata a chi stampa libri destinati ai nostri figli che studiano?
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