Ciascuno di noi vuole essere ammirato. Anche quando dissimuliamo una sorta di indifferenza verso il giudizio altrui, in realtà siamo interessati al consenso che gratifica il nostro Io, la nostra personalità. La vanità è un’esca con la quale chiunque può attrarci. Per vanità si cede e si concede, si gonfia il petto e si svuota la testa, si guarda al proprio ombelico e si ignora la faccia delle persone più vicine. Per non parlare del loro cuore. La vanità, nella sua inquietante seduzione, prescinde persino dallo stato in cui ci troviamo. Scriveva Albert Camus: “Anche dal banco d’imputato è sempre gratificante sentir parlare di sé”. Come se quel “parlare di noi” bastasse a regolare i conti con la propria esistenza. Ogni giorno, puntuale come il suono delle campane che annunciano la messa, mi balza all’occhio e si avvita nell’orecchio il fantasma della vanità. Siamo talmente circondati da persone vanitose, colpite dal virus del narcisismo incalzante, che ormai abbiamo fatto l’abitudine a questo atteggiamento, riducendolo a una battuta. Il vanitoso, quando ti saluta, dice: «Ciao, come sto?».
Gli effetti negativi
Anch’io, badate bene, potrei essere vittima dell’epidemia, e dunque ragionarci sopra con voi se non altro mi aiuta, e ci aiuta tutti, a prendere qualche sana misura preventiva. In fondo la vanità, che non è sinonimo di superbia, possiamo anche considerarlo come un modo leggero di affrontare la vita. Dal latino vanitas, un aggettivo da interpretare non tanto come “vuoto” ma come “futile”. Chi oserebbe mai dire una parola, una sola, per criticare l’innata e talvolta sensualissima e dolcissima vanità femminile?
Cosa vuol dire una persona vanitosa?
Il limite, qualsiasi limite, della vanità, salta, e l’atteggiamento da piccola e vivace debolezza umana si trasforma in una forma di costante e insopportabile auto-compiacimento e perfino auto-idolatria, quando trasformiamo la vanità nella nostra cifra umana, nel nostro modo di essere persone e di guardare, naturalmente dall’alto in basso, le altre persone. In uno stile di vita. A quel punto l’Io divora il Noi, lo annulla, e la vanità si associa a uno spreco di personalità, di completezza. Nonché di sentimenti autentici e non autoreferenziali.
I rischi
Così il vanitoso diventa narcisista, categoria oggi tra le più diffuse sul pianeta; così il compiacimento di sé assume il marchio dell’indifferenza, del cinismo, dello sguardo che appassisce perché è incapace di andare oltre il proprio ombelico. A quel punto la vanità, e non sei neanche in grado di accorgertene, ti isola (anche se, in apparenza, tutti di adulano), e rischia di farti risucchiare dalla solitudine.
Leggerezza per non essere vanitosi
Questo confine, molto sottile, lo potete tracciare bene, se osservate da vicino le persone che appartengono alla categoria dei talenti, dei fuoriclasse della creatività. In qualsiasi campo. Bene: in questi casi, quella vanità leggera, della quale ho parlato all’inizio, magari condita con una sana e mozartiana leggerezza, serve a proteggere la creatività. Ma quando si appesantisce, quando divora la persona, ovvero la donna o l’uomo talentuosi, allora la vanità finisce per distruggere anche la creatività. E il genio diventa un incompreso, o solo un genio che a forza di guardarsi ogni secondo nello specchio ha smarrito perfino il suo talento e non gli resta che un’immagine di sé anche piuttosto opaca.
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