Energia e ambiente: il bilancio di Obama

A meno di cento giorni dal voto, la partita per le presidenziali americane è entrata nella fase decisiva con Barack Obama ancora in vantaggio nei sondaggi (in media sei punti) ma sempre più tallonato dal concorrente Mitt Romney. Gli osservatori non hanno dubbi: saranno l’economia, l’occupazione e gli effetti della Grande Crisi a decidere il […]

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A meno di cento giorni dal voto, la partita per le presidenziali americane è entrata nella fase decisiva con Barack Obama ancora in vantaggio nei sondaggi (in media sei punti) ma sempre più tallonato dal concorrente Mitt Romney. Gli osservatori non hanno dubbi: saranno l’economia, l’occupazione e gli effetti della Grande Crisi a decidere il nome del nuovo inquilino alla Casa Bianca. E intanto Obama deve fare i conti con il bilancio dei suoi quattro anni nel settore della sostenibilità, della politica energetica e del green, autentici cavalli di battaglia nella corsa per il primo mandato. Un bilancio decisivo perché la scelte dell’America in questo settore, comunque, orienteranno la politica ambientale in tutto il mondo. Partiamo dalle sconfitte di Obama, che non sono poche al punto da mettere a rischio il suo feeling con i movimenti ambientalisti americani che hanno un fortissimo potere di lobby sull’opinione pubblica. In quattro anni, il presidente non è riuscito a spostare di un millimetro la geopolitica internazionale in materia ambientale rispetto alla lunga stagione repubblicana dei Bush padre e figlio: l’America non ha firmato alcun trattato internazionale per contenere il cambiamento climatico. Troppi veti esterni, specie da parte della Cina e della Russia, e troppe pressioni interne, a partire dalla potente industria petrolifera. Un ko tecnico. E proprio con i petrolieri Obama ha dovuto fare i conti praticamente ogni giorno, cedendo sulle estrazioni e sulle trivellazioni (un altro smacco contestato dagli ambientalisti)e sui 4 miliardi di dollari che questi gruppi incassano sotto la voce Sussidi. Qui il muro sul quale è sbattuto il presidente è quello del Congresso, dove i repubblicani hanno fatto sentire tutta la loro forza. E gli appelli di Obama agli elettori, attraverso la rete del social network per convincere i membri del Congressi a difendere le famiglie americane più che le grandi compagnie energetiche, sono apparsi come delle trovate propagandistiche e hanno dato il segno di un’altra sconfitta. Catastrofici, infine, alcune sovvenzioni ad aziende della green economy, poi fallite, concesse da Obama con eccessiva disinvoltura. Fin qui le ombre, e non sono poche. Quanto alle luci, Obama ha avuto un alleato di ferro nel prezzo della benzina, al quale gli americani sono sensibilissimi, cresciuto del 73 per cento sotto la sua presidenza. Questo ha consentito alla Casa Bianca di spingere molto sulle rinnovabili con una crescita del settore pari al 27 per cento: siamo ancora lontani dalla rivoluzione energetica promessa con la prima campagna elettorale, ma è comunque un buon risultato, specie in tempi di pesante recessione. Molto più efficace, infine, la politica Non Sprecare di Obama: il piano Better Building Iniziative, per ridurre i consumi energetici di tutti i fabbricati del 20 per cento entro il 2020, sta andando avanti, e i nuovi standard energetici per la produzione di elettrodomestici, innanzitutto lavatrici e lavastoviglie, sono ormai approvati. L’obiettivo è di abbattere i consumi domestici di energia e di acqua tra il 15 e il 30 per cento, e questo è un traguardo che piace agli americani. Un gradimento prezioso per Obama a meno di cento giorni dal voto finale.

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