Il ministro del Welfare, Enrico Giovannini, ha usato il linguaggio della verità nelle aule parlamentari per descrivere lo stato dell’arte della cassa integrazione in deroga: i soldi per rifinanziarla, di fatto, non ci sono, e in ogni caso non si può andare avanti a colpi di proroghe. Bisogna “rivisitare” lo strumento. Grazie a una persona seria e competente, viene a scadenza il tema della riforma del welfare che in campagna elettorale è stato utilizzato soltanto per mettere in fila false promesse, impegni non sostenibili dal punto di vista dei conti pubblici.
DISEGUAGLIANZE NEL WELFARE. Da un paio di decenni continuiamo a trascinarci una delle più importanti scadenze di un progetto riformatore del Paese: come rivedere le tutele sul lavoro e come rompere il muro dell’odiosa discriminazione tra chi è comunque protetto e quanti invece, guarda caso i più giovani, non hanno alcuna forma di reale tutela. La politica è stata miope e impotente, e con la complicità dei veti sindacali e del silenzio-assenso degli imprenditori, non abbiamo fatto altro che prorogare un sistema profondamente ingiusto. Il punto di partenza è chiaro: le risorse sono poche, i nuovi bisogni sono tanti. Ma invece di intervenire con una visione di insieme, e quindi con scelte radicali e coraggiose, abbiamo piegato alcuni strumenti a un uso surrettizio e opaco. Come nel caso della cassa integrazione in deroga, trasformata in una sorta di ammortizzatore sociale senza scadenza e con pagamenti a vista, di fatto un diritto acquisito. Ci sono lavoratori che da anni, anzi: da decenni, beneficiano di questo strumento, senza alcuna politica di riqualificazione che consentirebbe loro di trovare nuovi sbocchi, assecondando domande di manodopera in quei settori dove manca l’offerta. Uno schema rigido e costosissimo. Allo stesso tempo un giovane precario, che perde il lavoro per una crisi aziendale o per un ridimensionamento dell’attività che svolge, non ha alcuna forma di protezione, neanche per un giorno. Se ho capito bene, quando parla di “rivisitazione” dello strumento, Giovannini si riferisce proprio a questa assurda ingiustizia del nostro welfare nel settore del lavoro. Gli ammortizzatori sociali hanno una funzione vitale, specie in una stagione di Grande Crisi e con una recessione che non si attenua, ma non possono essere erogati a tempo indeterminato, a colpi di rifinanziamenti. Innanzitutto perché non ci sono i soldi, ma anche per il fatto che la trasformazione dello strumento sottrae risorse per altri interventi.
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STRUMENTI DI WELFARE PIU’ EQUI E PIU’ UTILI. In concreto: una cassa integrazione riportata alla sua corretta funzione temporale, potrebbe generare dei risparmi preziosi per finanziare, per esempio, il reddito di cittadinanza. Sarebbe una scelta ispirata non solo all’equità, ma anche alla chiarezza, in quanto consentirebbe di distinguere tra interventi per crisi temporanee da sostegni per problemi strutturali. La coperta è corta, lo sappiamo, e il welfare è un patrimonio della civiltà europea al quale non possiamo assolutamente rinunciare. Ma un welfare moderno, che tenga conto degli andamenti economici e demografici, non può essere ingiusto e assistenziale. Lo abbiamo visto con le pensioni, dove sotto la pressione di fattori esterni, pure siamo riusciti a fare riforme strutturali che hanno messo in sicurezza il sistema. Per gli ammortizzatori sociali, e in generale per gli strumenti utilizzati a sostegno del lavoro e della sua riqualificazione, bisogna seguire lo stesso criterio. Non sarà facile, perché siamo pur sempre il Paese delle corporazioni e degli interessi consolidati, anche sul lavoro. Ma è una strada senza alternative, e l’uso del linguaggio della verità è già un buon punto di partenza.
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