La prima legge per eliminarli risale al 1956. Ma dopo oltre sessant’anni di promesse e di solenni impegni parlamentari, la giungla degli enti inutili è ancora integra, e resiste a qualsiasi tentativo di disboscamento, come se in Italia fosse impossibile, anche in tempi di pesanti tagli alla spesa, eliminare il superfluo della grassa macchina statale. L’inutile, appunto. Non sappiamo con precisione neanche quanti sono gli enti da sopprimere, il governo di Mario Monti ne aveva classificati circa 500, e quanto costano, si parla di una spesa di circa 10 miliardi l’anno, e l’unica certezza è in un numero: dal 2008 gli enti inutili cancellati sono soltanto 49. Per gli altri c’è sempre una seconda e nuova vita.
Il meccanismo con il quale anche i più antiquati di questi organismi riescono a restare a galla prevede molte variabili: in alcuni casi si mette in moto la procedura per la cancellazione e poi si passa a una riorganizzazione, in altri episodi si cambia il nome oppure si rinvia la scelta finale a nuove norme, e se proprio cadono tutte le barriere, allora si parte con ricorso al Tar e al Consiglio di Stato per congelare la pratica.
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L’Ente nazionale della montagna, per esempio, che si sovrappone all’altra giungla delle comunità montane (anche loro in lista d’attesa per i tagli), sembrava destinato a una definitiva eliminazione. Poi sono scesi in campo parlamentari del centrodestra e del centrosinistra, tutti protettori delle nostre cime, e l’Ente con un colpo di bacchetta magica è diventato Istituto nazionale della montagna. Costo del salvataggio: 490mila euro l’anno. Anche l’Ansas (Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica) è stata al centro di un miracolo da trasformazione nominale: nel 2012 è stata eliminata, ma pochi mesi dopo è riapparsa sotto le spoglie di Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (Indire). Tutti salvi, ovviamente, i dipendenti e i membri del consiglio di amministrazione.
Mentre non abbiamo una memoria condivisa e siamo sempre alla ricerca di una pacificazione nazionale, quando si tratta di enti inutili scopriamo una sincronica continuità tra la monarchia e la repubblica, tra il fascismo e l’Italia dei partiti. Così non si tocca l’Istituto di beneficenza Vittorio Emanuele III, varato nel 1907, per assistere gli ufficiali delle Forze armate e della Finanza con i loro familiari. E nemmeno si tocca la sede dell’ente monarchico, la splendida Villa Liete, gioiello dell’architettura liberty, a Sanremo.
Poi, visto che ogni coppia di monarchi ha diritto alla memoria con il suo ente, nessuno si è mai sognato di cancellare l’Ente per il patronato pro-ciechi intitolato alla Regina Margherita e l’Istituto nazionali dei ciechi che invece ha il sigillo di Vittorio Emanuele II. Quanto al fascismo c’è solo da scegliere, e da salvare: dall’Opera nazionale dei figli degli aviatori che, nientemeno, cura “l’assistenza morale, intellettuale, fisica e religiosa” di questi eredi degli eroi in guerra, all’Opera nazionale per la maternità e l’infanzia dei fanciulli e all’Opera nazionale combattenti. Sempre al ventennio, durante il quale Benito Mussolini moltiplicava gli enti pubblici per sistemare i disoccupati, risale l’Ente nazionale per i lavoratori rimpatriati e i profughi. Peccato che oggi i veri profughi non siano più gli italiani emigrati all’estero, ma gli immigrati che cercano un lavoro in Italia.
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La formazione è un buco nero dell’Italia dei giovani senza posto e senza competenze adeguate per trovarlo sul mercato. Eppure negli anni abbiamo moltiplicato gli Enti che si occupano proprio di formazione: a parte i generosi rubinetti delle regioni, sono ancora in piedi gli organismi di categoria, uno per ogni settore. Così compaiono in attività l’Ente nazionale per l’addestramento dei lavoratori del commercio (Enalc), l’Istituto nazionale per l’addestramento e il perfezionamento dei lavoratori dell’industria (Inapli) e l’Ente per l’istruzione e l’addestramento nel settore artigiano (Iniasa).
Siamo il Paese dei mille campanili e delle tante identità locali. Forse per questo in Veneto sopravvive l’Istituto per la conservazione della gondola e la tutela del gondoliere, mentre la categoria si è evoluta ed è diventata una sorta di super lobby che controlla buona parte dei traffici commerciali in Laguna. E se in Trentino Alto Adige i ladini hanno il loro Istituto storico per l’identità della lingua, in Piemonte, una regione molto attenta ai problemi del mondo sottosviluppato, resiste il Centro piemontese per gli studi africani e in Campania è in campo l’Ente per lo studio dei materiali plastici per i poteri di difesa dalla corrosione.
Quanto alla zona prealpina dei laghi, ogni comunità ha il suo ente di riferimento (Ticino, Oglio e Adda) e la fusione dei tre organismi, inserita perfino in una delle tante leggi salva-Italia, è stata rinviata in attesa di una legislazione complessiva del settore. Anche perché, intanto, la pratica è finita tra i ricorsi al Tar.
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Non c’è governo negli ultimi anni che non abbia promesso un taglio netto e profondo agli enti inutili, anche come segnale concreto di riorganizzazione della macchina statale. Nessuno ha dimenticato il prode ministro leghista Roberto Calderoli che, seduto sul trono di un ministero della Semplificazione, così tuonava: “Userò la ghigliottina per fare piazza pulita, e con me scompariranno leggi ed enti inutili”. Dal giorno della sua promessa, come abbiamo visto, gli enti veramente cancellati non arrivano a 50 e in compenso le leggi che avvelenano la vita delle aziende, spesso accompagnate dalla nascita di nuovi organismi, si sono moltiplicate.
L’ufficio studi della Confartigianato ha fatto un rapido calcolo: negli ultimi cinque anni sono state approvate in Italia 288 leggi delle quali solo 67 semplificano le procedure le imprese. In pratica, è come se ad ogni legge di semplificazione ne corrispondano, poi, 4,3 di complicazione. Con un costo per lo Stato, sempre secondo i calcoli di Confartigianato, di 30 miliardi di euro l’anno. Ecco dunque spiegata la radice del mistero della sopravvivenza, e talvolta della resurrezione, degli enti inutili: sono le sacche della burocrazia che una politica imbelle e inefficiente non svuota, ma gonfia. E loro, i burocrati, comandano sui governi da cui dovrebbero dipendere e non fanno fatica a resistere barricati nelle rispettive postazioni. Anche quando non servono a nulla.
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L’intervista. Il presidente Inps, Mastrapasqua: «Abolire 30mila enti inutili per non tagliare i dipendenti pub… http://t.co/i7HhslXMLy
— S.I.Ve.M.P. Veneto (@sivempveneto) August 18, 2013
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