Etichette a semaforo, un trucco contro la dieta mediterranea. E uno spreco per il cibo made in Italy

Non fidatevi di questo meccanismo che piace tanto alle multinazionali del cibo. Si finge di indicare i prodotti più salutari, ma si cerca solo di fare fuori l'agroalimentare italiano

etichette a semaforo

Nel nome della salute, del benessere e della sostenibilità alimentare, si possono fare, o tentare di fare, grandi e torbide operazioni a favore di precisi interessi economici. Guarda caso, come al solito, di note multinazionali. Un caso paradigmatico di questo meccanismo, che poi trascina la conseguenza di una catena di danni e di sprechi, è il tentativo di introdurre a largo raggio e in tutta Europa, per i prodotti alimentari, le etichette a semaforo, il “Nutriscore“. Ovvero un punteggio per indicare i contenuti di ciascun prodotto, e quale sarebbe la scelta più salutare per il potenziale consumatore: dalla A (la più salutare) alla E (la meno salutare). In mezzo, i vari colori che indicano la presenza nei cibi di frutta, verdura, fibre, proteine, zuccheri, sale, grassi saturi e non saturi.

Nutriscore

La diabolica furbizia di questo sciagurato sistema (Nestlé ha  annunciato la sua introduzione in tutti i suoi prodotti) è che non esiste nulla, ma proprio nulla, di scientificamente valido per accertare se un prodotto sia salutare o meno con i colori e le lettere. Per intenderci: l’olio d’oliva, considerato un naturale protettore del cuore e un vero elisir di benessere, rischierebbe con i criteri delle etichette a semaforo di ritrovarsi con la E, ovvero il bollino rosso dei prodotti meno salutari. Una follia. Laddove esistono migliaia di medici che non fanno altro che raccomandare l’uso dell’olio d’oliva. Stessa cosa per una lunga serie di prodotti della dieta mediterranea, altra certezza nella vera letteratura scientifica sul benessere delle persone e sulla longevità che assicura.

Bollino rosso

L’unica cosa certa sulle etichette a semaforo, è il prezzo pesantissimo che pagherà tutta la filiera agroalimentare italiana. Dai contadini i produttori. Dal piccolo commerciante di prodotti della terra, ai grandi marchi dell’alimentare italiano, il più amato e conosciuto al mondo proprio per le sue qualità, anche come fonte di alimentazione salutare. Insomma: è il cibo made in Italy che rischia di essere colpito al cuore, e sprecato in blocco, da chi vuole affondarlo e scardinarlo per creare nei consumatori una sorta di terrorismo psicologico. A colpi di bollini, lettere a colori, e marchingegni vari per spingere gli acquirenti  verso prodotti, fintamente salutari, delle multinazionali in campo a fare la voce grossa, green (?) e salutista, a favore delle nuove etichette nutrizionali.

Come funzionano le etichette a semaforo

La proposta delle etichette a semaforo è nata nel 2013 in Gran Bretagna, per contrastare l’obesità e le malattie cardiovascolari, e adesso piace molto alle grandi multinazionali del settore alimentare. Oltre a Nestlè anche Unilever, Coca Cola, Pepsi e Mars stanno pensando di introdurle. Guarda caso proprio quelle società, con giganteschi fatturati, che sono più spesso chiamate in causa proprio per le caratteristiche non certo salutiste dei loro prodotti. Società che fanno i loro legittimi interessi, per carità, ma in questo caso si tratta di interessi che non coincidono con i nostri di consumatori e di italiani.

Vediamo nello specifico i motivi dello spreco. Le etichette nutrizionali a semaforo altro non fanno che introdurre l’obbligo di informazioni sui contenuti di calorie, grassi, zuccheri e sale in ciascun prodotto. Da qui si passa ai colori: un’etichetta verde indica un basso contenuto di uno o più ingredienti “a rischio”, l’arancione indica un valore medio, e il rosso invece segnala una percentuale elevata e quindi un pericolo per la salute del consumatore.

Il danno per i prodotti italiani

Fin qui il meccanismo (in teoria favorevole al consumatore e alla tutela della sua salute), che si applica su confezioni di 100 grammi di prodotti: e dove sta il trucco? Primo: questa classificazione così astratta colpirebbe in modo frontale buona parta dei prodotti del made in Italy, e l’85 per cento dei nostri dop (che valgono un fatturato di 11,5 miliardi di euro, sui quali hanno messo gli occhi le multinazionali alimentari). Oltre all’olio d’oliva, formaggi, salumi e così via: si tratta di prodotti genuini e autentici, che possono avere valori alti di sale o di grassi. Ma non per questo vengono esclusi da una dieta sana ed equilibrata, e non per questo devono essere bollati con il colore rosso che li considera “dannosi per la salute”.  Con le etichette a semaforo in tutti i paesi europei, come chiedono le multinazionali, si arriverebbe all’assurdo che una bibita zuccherata, grazie a qualche manipolazione nella lavorazione industriale, avrebbe il verde, mentre un formaggio dei nostri piccoli produttori, lavorato con le antiche e sane tradizioni, avrebbe il bollino rosso, e quindi crollerebbero le sue vendite. Secondo: la lotta all’obesità e alle malattie cardiovascolari attraverso l’alimentazione, una cosa giustissima, si fa con la dieta, con gli stili di vita, e non con etichette così parziali. Non a caso, proprio grazie alla nostra dieta mediterranea, l’Italia è ai vertici dei paesi che hanno una popolazione in salute. Grazie al mix di alimenti naturali che prevede anche formaggi e olio d’oliva, con i relativi valori di grassi. Terzo: i semafori si applicano su confezioni di 100 grammi, e quindi, per esempio, nel caso del parmigiano i valori sarebbero altissimi e il rosso scontato. Ma chi mangia 100 grammi di parmigiano? E chi usa a tavola 100 grammi di olio di oliva?

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Dunque, la strada per combattere obesità e cattiva alimentazione, come per informare bene i consumatori, non è quella delle etichette a semaforo. Le etichette, piuttosto, devono essere chiare e trasparenti, come chiediamo da tempo sul nostro sito, e indicare i luoghi di provenienza e di lavorazione di ciascun prodotto, con le relative quantità di singole materie. Ma senza con questo dare pagelle di colori che, con la scusa di proteggere la salute, in realtà servono solo a fare qualche regalo alla potente lobby dell’industria alimentare mondiale.

L’alimentazione nelle mani di un algoritmo

Il Nutriscore nell’attribuire i voti a una pietanza, e di conseguenza assegnare un colore  al  semaforo da mettere in etichetta, agisce attraverso un algoritmo. Che non distingue le proprietà nutrizionali di un alimento. Il parmigiano, per esempio, contiene grassi, ma anche preziosi nutrienti e minerali, come le proteine, il calcio, il fosforo e il potassio. Tutto questo l’algoritmo non è in grado di calcolarlo e ferma le sue valutazioni ai grassi, “bocciando” così sul piano nutrizionale il parmigiano, come vorrebbero tanti produttori dell’Europa del Nord che si sono specializzati nel copiare, a loro modo, un’eccellenza alimentare italiana. Non a caso, i paesi del Nord Europa sono quelli che più spingono per le etichette a semaforo, e sul fronte delle nazioni contrarie si sono coalizzate Italia, Spagna, Portogallo e altri paesi mediterranei. Quelli della famosa dieta mediterranea costruita a base di genuini prodotti locali che sarebbero penalizzati dal Nutriscore. 

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