La crisi climatica, almeno in Italia, non sembra sfiorare gli apparati accademici delle facoltà di Medicina. Ignorano il problema oppure lo rimuovono alla radice, per non complicarsi la vita. Eppure, l’impatto della crisi climatica sulla salute è fortissimo: basti pensare all’aumento delle malattie respiratorie, alle patologie legate alle ondate di calore e alla siccità, ad alcuni virus diventati particolarmente temibili. Poi ci sono i riflessi della crisi climatica sull’intera catena alimentare, con una serie di problemi che vanno dallo spreco del cibo, fino alle maggiori difficoltà per conservarlo e utilizzarlo in sicurezza. Infine, interi settori della medicina, pensate alla chirurgia, utilizzano in modo massiccio materiali a base di sostanze inquinanti, a partire dalla plastica.
Avremo bisogno sempre di più di medici formati con specifiche competenze anche rispetto alla crisi climatica e ai suoi effetti. Medici che sanno dare indicazioni in termini di diagnosi e terapia, ma innanzitutto sugli strumenti disponibili per prevenire malattie legate alla crisi climatica.
In America, il paese che come sempre è più avanti nell’innovazione, anche nel settore della formazione, la percentuale di Facoltà di medicina dove è previsto l’insegnamento dei cambiamenti climatici, negli ultimi anni è passata dal 27 per cento (nel 2019) al 65 per cento (2022). Sarebbe ora che anche in Italia i baroni e i baronetti delle facoltà di medicina prendessero atto di questo cambiamento e iniziassero a introdurre nei programmi di studio discipline legate alla crisi climatica.
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