Il federalismo in salsa italiana continua a fare danni. E gli italiani lo capiranno sempre meglio sulla loro pelle quando, nei prossimi mesi, andranno a fare i conti con l’aumento della tasse pagate per effetto di nuove aliquote e nuovi incrementi da parte degli enti locali. Un vero salasso, che parte da lontano. Negli ultimi venti anni, da quando appunto abbiamo introdotto un federalismo truccato a spese dei contribuenti, le tasse locali sono aumentate cinque volte rispetto alle imposizioni nazionali (già molto salate) che invece sono “solo” raddoppiate.
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Secondo Confartigianato tra il 2000 e il 2010 le tariffe dei servizi pubblici locali sono schizzate del 54,2 per cento. Il doppio dell’inflazione e 24 punti in più rispetto alla media europea: ricorda, in un fondo sul Corriere della Sera, il giornalista Sergio Rizzo. Dal 2003 al 2013 la tassa sui rifiuti è aumentata del 56,6 per cento, rispetto a una media europea del 32,2 per cento, e nella grandi città sicuramente il servizio di smaltimento non é migliorato.
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Anzi. Inoltre, nonostante la tosatura dei contribuenti, i comuni restano soffocati dal debito: il deficit dell’amministrazione comunale di Milano é di circa 500 milioni di euro su un bilancio di 2 miliardi e 500 milioni; Roma é nuovamente alla soglia della bancarotta con un “buco” di 867 milioni di euro per fare quadrare i conti. Ma i conti non quadrano e l’unica certezza, per le amministrazioni locali, sono i rincari dei servizi e l’aumento della tassazione. Per tutto.
Resta nel limbo delle incertezze e delle sorde resistenze di un ceto politico irresponsabile l’unico rubinetto attraverso il quale sarebbe possibile aumentare le entrate e non continuare a incrementare le tasse locali: il taglio della spesa, e degli sprechi. Parliamo di spesa inutile e improduttiva, e non certo dei servizi che invece vanno migliorati anche attraverso nuovi investimenti.
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E parliamo, a proposito di sprechi, per esempio dell’assurdo arcipelago delle migliaia di società, controllate dagli enti locali, dove si concentrano i risultati di politiche clientelari e di inefficienze legate alla cattiva gestione. I comuni fino a 30mila abitanti avrebbero dovuto cedere, entro il 30 settembre, le loro partecipazioni societarie per ricavare risorse preziose, evitare aumenti della tassazione e ridurre sprechi e privilegi. Settembre é ormai alle nostre spalle e di queste cessione non ne abbiamo vista, al momento, neanche una.
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