FERIE DEI MAGISTRATI –
La ferita non si è mai rimarginata. E lo scontro di questi giorni tra Matteo Renzi e una parte della magistratura è soltanto l’ultimo round di un conflitto che si è aperto da quando il governo è riuscito a tagliare le ferie dei giudici portandole in un colpo solo da 45 a 30 giorni, e allineandole così all’intero settore del pubblico impiego e alla media europea. Una stangata che i magistrati non hanno ancora digerito, tanto che il procuratore generale di Torino, Marcello Maddalena, ha colto l’occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario per accusare il capo del governo di «fare crepare di fatica i giudici», e il premier ha risposto via web ricordando come l’Italia sia «la patria del diritto, non delle ferie». Uno scambio di battute al vetriolo, che proseguirà poi nelle aule giudiziarie laddove i magistrati si sono già appellati alla Corte Costituzionale (invocando gli articoli 3 e 77) per riavere i giorni di vacanza perduti.
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IL LAVORO DEI MAGISTRATI –
Ferie, produttività, processi inefficaci. È in questo triangolo che si gioca una partita decisiva per il sistema Paese, visto che non in discussione soltanto gli interessi di una categoria, quanto l’intero funzionamento della macchina della giustizia. Per difendere le loro ferie extra, i magistrati hanno sempre tirato in ballo un argomento molto specifico: il loro lavoro da casa. Anche durante le vacanze. E in effetti nel periodo feriale del 2014, tra luglio e settembre, sono state depositate in Italia circa 7mila sentenze e ordinanze, delle quali 4.479 nel penale e 2.486 nel civile. Peccato però che riguardano una ristrettissima minoranza di magistrati, appena 300. E gli altri? Dunque, il lavoro da casa di un gruppo di stakanovisti non giustifica un privilegio erga omnes, pari a 15 giorni di ferie aggiuntive, di un’intera categoria.
MAGISTRATI E PRODUTTIVITÀ –
Più complesso, invece, il discorso sulla produttività. Per affrontarlo da un punto di forza, i magistrati si aggrappano alle statistiche pubblicate dalla Commissione europea per l’efficacia della giustizia (Cepej) che, almeno sulla carta, sembrano confermare la mole di lavoro della categoria. Ma anche in questo caso i numeri vanno spiegati nel contesto dove sono stati raccolti. Innanzitutto i magistrati in Italia non sono pochi: ne abbiamo 14,8 ogni 100mila abitanti, cioè come la Francia e la Spagna e più della Gran Bretagna (11,6). Piuttosto abbiamo troppe sedi giudiziarie e una cattiva distribuzione dei posti, anche per le rigidità che impediscono i trasferimenti, con il risultato che in alcune grandi città, a partire da Roma, Milano e Napoli, gli organici degli uffici giudiziari sono tutti in forte affanno. E la giustizia italiana, la più lenta d’Europa, è paralizzata da 6 milioni di procedimenti pendenti, dei quali più dei due terzi riguardano il settore civile. Se aggiungete il fatto che siamo uno dei popoli più litigiosi del mondo, si capisce perché un magistrato italiano si ritrova, ogni anno, con un numero di nuove sopravvenienze, civili e penali, pari al doppio rispetto a quelle dei colleghi francesi e spagnoli. Da qui l’apparente migliore produttività, misurata con il numero dei procedimenti smaltiti da un giudice di primo grado: 411 nel civile e 181 nel penale in Italia, rispetto ai 215 e 87 in Francia e 246 e 87 in Spagna. Così come non deve trarre in inganno la statistica sui casi chiusi pro-capite all’anno: 774 in Italia, cioè il doppio dei francesi e degli spagnoli. Peccato però che per casi chiusi si intendono sì le sentenze, ma anche le prescrizioni e gli annullamenti. E l’altissimo livello delle prescrizioni in Italia testimoniano il corto circuito che, di fatto, rende la nostra giustizia penale del tutto inefficace, fino a cancellare la fondamentale certezza della pena. Anche sulla valanga delle prescrizioni i magistrati si autodifendono tirando in ballo un capo espiatorio del fenomeno: gli avvocati, anzi l’esercito (record europeo) degli avvocati italiani. Argomento non infondato, salvo il particolare che negli ultimi dieci anni il 73 per cento delle prescrizioni sono state dichiarate nel corso delle indagini preliminari, quando il procedimento è dominato dai magistrati e in particolare dalle accuse del pubblico ministero.
E se la giustizia penale si spegne nella palude di un’amnistia generalizzata e di massa, quella civile affonda nei tempi biblici delle sentenze: 2.648 giorni per un verdetto di primo grado, 1.185 giorni per risolvere una lite commerciale, tre volte di più che nei grandi paesi europei.
FUNZIONAMENTO DEI TRIBUUNALI IN ITALIA –
In realtà il ministero della Giustizia e il Csm hanno a disposizione una mappa aggiornata sul funzionamento dei tribunali in Italia che dimostra come, al netto delle reciproche intolleranze, in questa ennesima polemica tra la magistratura e il governo, ci sia da fare i conti con una sola realtà: molti magistrati, la maggioranza, fanno bene il loro lavoro, nonostante le mille difficoltà e i mille problemi degli uffici giudiziari, a fronte di una minoranza che lavora poco e male e non viene penalizzata. Solo così si spiega perché un processo nel tribunale di Mantova dura 128 giorni, a Bolzano 141 giorni, mentre a Lamezia Terme ne servono 1.259 ed a Foggia 1.164. O perché a Torino per un giudizio civile bastano al massimo 855 giorni, mentre a Padova chi si rivolge a un tribunale debba aspettare almeno 1.665 giorni.
RETRIBUZIONE DEI MAGISTRATI –
A fronte di disparità così evidenti, e non solo di tipo territoriale (Nord-Sud) ma perfino all’interno della stessa area geografica, i meccanismi retributivi e di carriera dei magistrati sono improntati a una logica puramente corporativa. Si va avanti per anzianità di carriera, senza nessuna reale valutazione del merito, con la quale sarebbe possibile invece premiare i bravi e punire gli sfaticati, rendendo l’intera macchina più efficace. La conferma di questo perverso meccanismo di appiattimento del lavoro, verso il basso, che non rende giustizia innanzitutto ai magistrati che onorano il loro lavoro, arriva dalle statistiche comparate, a livello europeo, sulle retribuzioni. Lo stipendio di partenza di un magistrato italiano, 37.454 euro, è allineato con gli standard dei suoi colleghi in Francia e in Spagna; ma quando arriva a fine carriera, il giudice italiano porta a casa, mediamente, 122mila euro, il francese si ferma a 105mila e lo spagnolo a 115mila. E la differenza non è data dal rendimento, cioè da un premio per la produttività, ma solo dal tempo che passa e mette tutti, buoni e cattivi, sullo stesso piano.
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