E se fosse Renzi a salvare Berlusconi?

Adesso che il quadro della battaglia per la segreteria si è chiarito, qualcosa potrebbe muoversi proprio sulla spinta di una mossa del futuro leader del partito

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La festa nazionale del Pd ha fotografato la nuova geografia interna del Pd con Matteo Renzi lanciatissimo verso la segreteria (sulla carta ormai ha più del 75 per cento dei voti) e con Gianni Cuperlo pronto a guidare la minoranza interna, forte anche del sostegno di Massimo D’Alema. Chi si aspettava che nel Pd, nella fibrillazione di una rivoluzione interna, si creasse anche una fraglia sulla soluzione alla vicenda giudiziaria di Silvio Berlusconi è rimasto deluso. Ma non poteva essere altrimenti. Nella febbre di un congresso alle porte e con le candidature in campo ancora da definire, nessun dirigente di primo piano del partito si sarebbe mai fatto trovare con il cerino in mano di una posizione morbida nei confronti dell’ex premier che certo non sarebbe stata gradita al popolo dei 500mila iscritti.

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Guglielmo Epifani, da navigato uomo di apparato, ha fiutato bene il clima, dal primo momento, e così si è arroccato sulla linea della più netta intransigenza. Con due paletti: la difesa dello Stato di diritto e della regola in base alla quale la legge è uguale per tutti. Una posizione che, tradotta in termini concreti, significa un sì senza se e senza ma al voto favorevole in Giunta per la decadenza di Berlusconi. Anche Pierluigi Bersani ha sostenuto questa linea, motivandola con un precedente di natura interna: «Non daremo a Berlusconi nulla di più e nulla di meno di quanto abbiamo concesso ai nostri esponenti in situazioni analoghe». Punto. E Gianni Cuperlo mostra sicurezza nella sua previsione: «Il partito voterà unito per il sì alla decadenza, e non perché così intendiamo liberarci di un avversario politico, ma per difendere i principi della legalità e della separatezza dei poteri».
L’unica finestra che si è socchiusa nel Pd in questi giorni, ufficialmente, è stata rappresentata dall’apertura di Luciano Violante che non ha nascosto la sua idea di rimandare la legge Severino alla Corte Costituzionale, creando così le premesse di una soluzione politica a un problema che non è soltanto di natura giudiziaria. Ma le parole di Violante sono state accolta dal gelido silenzio del gruppo dirigente («Sono opinioni personali» ha detto Epifani) e da pesanti contestazioni che l’ex presidente della Camera da dovuto subire durante un suo intervento nella sede del Pd di Torino. Al punto che ieri Violante è stato il primo, tra i diessini, a definire «inammissibile» il ricorso di Berlusconi alla Corte di Strasburgo e il suo tentativo di prendere tempo così rispetto al voto della Giunta.

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Giochi fatti, dunque, nel Partito democratico a favore della decadenza di Berlusconi? Non esattamente. Adesso che il quadro della battaglia per la segreteria si è chiarito e Renzi deve solo guardarsi le spalle dalla corsa sul carro del vincitore, qualcosa potrebbe muoversi proprio sulla spinta di una mossa del futuro leader del partito. Renzi è abituato agli affondi, anche i più diretti, e già nel corso delle primarie contro Bersani si è sempre smarcato dall’antiberlusconismo come bussola della sua proposta politica. «Voglio sconfiggere Berlusconi con le armi della politica, e non per via giudiziaria» ha detto Renzi, marcando così una differenza dal gruppo dirigente che intende scalzare. Ora il sindaco di Firenze, in teoria, potrebbe alzare il tiro e dare uno spiraglio al suo avversario, una mossa che potrebbe portargli consensi nel campo del centrodestra dove lui vuole sfondare per vincere con un risultato pieno alle prossime elezioni. Nella realtà, però, anche Renzi dovrà fare i conti con un dato di fatto: l’antiberlusconismo, coltivato a tutto campo da vent’anni, appartiene ormai all’identità del Pd. E provare a smontarlo sarebbe veramente un grande azzardo.

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