Associazioni dei consumatori, uno strano record: sono venti. A caccia dei contributi pubblici

Quote di iscrizione anche di un euro all’anno. Pur di accumulare soci e partecipare alla spartizione della torta del Mise. Anche con progetti inutili e di facciata. Tanto paga Pantalone

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Siano benedette le associazioni dei consumatori. In una società che vede sempre più compressi e ridimensionati i corpi intermedi (innanzitutto partiti e sindacati) le associazioni che rappresentano i consumatori sembrano godere di ottima salute. E crescono come i funghi.

FONDI PUBBLICI ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI

La mission non è secondaria. Esistono alcune Autorità di garanzia, come l’Antitrust o l’Autorità che difende la privacy, che in qualche modo dovrebbero stare dalla parte dei cittadini-consumatori. Ma in genere hanno piedi d’argilla, enunciano grida manzoniane, e sono più vicine ai palazzi del potere che non alle piazze di un mercato. Le associazioni dei consumatori, invece, almeno sulla carta hanno più margini di manovra per scendere in campo anche nel caso di un piccolo sopruso. Pensate alla bolletta telefonica gonfiata. Al biglietto del volo mai partito e mai risarcito. Alla vacanza-truffa. All’aumento ingiustificato di un prodotto sul mercato. Alla polizza che, in caso di incidente, non è mai scattata. Qui, in questa palude di piccoli e grandi danni, e sprechi, sulla pelle dei cittadini e delle famiglie si muovono le benemerite associazioni dei consumatori.

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Tutta questa nobile costruzione, però, frana di fronte a fatti piuttosto sconcertanti, ennesimi indicatori di un paese corporativo, di piccole lobby, e sempre pronto a fare la fila attorno alla mangiatoia del denaro pubblico. In Italia, come risulta dal sito del Ministero dello Sviluppo Economico (Mise), dove sono censite e indicate secondo quanto previsto dalla legge, abbiamo la bellezza di venti associazioni dei consumatori. Record mondiale. E non sappiamo quante altre agiscono nell’ombra, anche perché il sito del ministero sull’argomento è aggiornato all’aprile del 2018. Circa tre anni.

Per dare un’idea dell’anomalia, in America, dove le lotte dei consumatori sono iniziate già nel lontanissimo 1928, il colosso Consumers Union è riuscito perfino ad esprimere un leader, Ralph Nader, avvocato e giornalista, a suo tempo in corsa per la Casa Bianca. Anche in Inghilterra Which? mette insieme 100 milioni di euro di budget grazie alle quote (90 euro all’anno) versate da 600mila soci.  E in Germania gli iscritti-paganti all’ente Stiffung Warentest sono considerati le bestie nere di qualsiasi azienda che prova a fare qualche furbata.

ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI IN ITALIA

Come mai in Italia abbiamo venti associazioni dei consumatori, delle quali la maggior parte sono minuscole per numero di iscritti e per rilevanza di attività? Semplice: per il fatto che una volta riconosciuti dal ministero dello Sviluppo Economico si entra in un club, ovvero nel Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (Cncu). Un club il cui titolo potrebbe essere «Piatto ricco mi ci ficco», in quanto una volta iscritti si può accedere ai generosi bandi finanziati dalle multe incassate dall’Autorità antitrust. Un club dove le carriere ai vertici durano decenni, e il ricambio dei gruppi dirigenti è come in Giappone: ha tempi biblici.

Un meccanismo perverso quanto opaco. Poiché i soldi arrivano dallo Stato, l’importante è entrare nel club, dove l’ingresso è condizionato innanzitutto dal numero degli iscritti a una singola associazione. Così un socio della Casa del consumatore versa una quota annua di un euro, e consente all’associazione di arrivare alla soglia di quei 30mila iscritti per accedere ai fondi del Mise. E qui arriva la seconda anomalia.

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A COSA SERVONO I FONDI PUBBLICI

A che cosa servono questi fondi pubblici? In teoria, ci si aspetta che servano a finanziare campagne d’ascolto e di denuncia da parte dei cittadini-consumatori. Renderle attive ha un costo, e quindi servono entrate. In realtà non solo le entrate sono di fatto sovvenzioni governative, ma vanno a finanziare i costi degli apparati delle associazioni (la famosa burocrazia che loro ogni giorno denunciano…) e fantomatiche attività che hanno tutte le sembianze di autentici sprechi di denaro pubblico.

Come denuncia Raffaele Oriani, in un articolo molto ben documentato e pubblicato sul Venerdì di Repubblica, viene quasi da sorridere leggendo i contenuti di alcuni progetti, inutili e di facciata, finanziati dal ministero. Viaggi e turismo, incontri e dibattiti su problematiche varie, Acciuffa la truffa con post su Facebook per «educare al rischio delle truffe». L’associazione utenti radio e tv, il cui sito è aggiornato a contenuti dello scorso anno, si è vista finanziare molto generosamente un progetto, con tanto di seminario, su «Sicurezza alimentare, consigli e buone pratiche». Che cosa ci azzecchi un’associazione di consumatori di prodotti radio-televisivi con i temi dell’alimentazione è un interrogativo al quale nessuno, innanzitutto al ministero, è stato in grado di fornire una risposta.

CREDIBILITÀ DELLE ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI

E sul tavolo di questo gigantesco spreco, che mette in discussione anche la credibilità delle associazioni dei consumatori, piomba la domanda di Ivo Tarantino, direttore di Altroconsumo: «Perché Confindustria è una, i principali sindacati sono quattro, mentre i consumatori sono rappresentati da venti campioni nazionali?». Già, perché?

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