Gyrotech, una società informatica ungherese, è riuscita a ottenere 411mila euro di finanziamenti per mettere a punto trattamenti di idroterapia per «migliorare la qualità della vita» dei cani. La Regione Campania ha intascato 711mila euro per organizzare il concerto del cantante Elton John al festival di Piedigrotta a Napoli lo scorso anno. La Twinings, storica società britannica, ha incassato 10 milioni di euro per aprire uno stabilimento in una zona depressa della Polonia e ha prontamente trasferito lì la produzione di tè licenziando oltre 300 dipendenti in Inghilterra.
Il filo che lega queste tre storie tra il comico e il tragico è che i finanziamenti ottenuti sono arrivati dai fondi strutturali dell’Unione europea, che mirano ad aiutare le regioni meno ricche e a ridurre il divario di sviluppo e reddito tra Paesi. Bruxelles ha avviato inchieste in tutti e tre i casi ma per ora l’ordine di restituire i fondi perché utilizzati impropriamente è arrivato solo alla Campania. Sono tre episodi in un mare magnum di progetti mai realizzati, soldi deviati, sprechi mai puniti. Non è una novità che i fondi strutturali, creati con le migliori intenzioni e utilizzati per una miriade di benemeriti progetti, siano stati spesso usati in modo improprio o dirottati verso la criminalità organizzata.
Ora però che la Ue sta attraversando una fase di crisi economica e aiutando Grecia e Irlanda può essere il momento giusto per esaminare la situazione e valutare quanto siano efficaci e utili i fondi strutturali. Lo fa questa settimana il Financial Times in un’inchiesta congiunta con il Bureau of Investigative Journalism, che rivela come non solo i fondi siano utilizzati poco e male ma anche come siano a volte controproducenti, andando ad aggravare la situazione di crisi economica o arretratezza che intendono alleviare.
Il primo punto, il mancato utilizzo, è evidente nei numeri. Il programma attuale di fondi strutturali, che dura sette anni, dal 2007 al 2013, ingoia oltre un terzo del budget totale della Ue: 347 miliardi di euro, una cifra pari all’intero Pil del Belgio. A fine 2010, a quasi quattro anni dall’inizio del programma settennale, solo 35 milioni, meno del 10% del totale, sono stati effettivamente utilizzati.
Il problema è che in molti casi i fondi non vengono utilizzati perché la crisi economica ha fatto inceppare il sistema di co-finanziamento. Le regole prevedono che i fondi vengano erogati solo se per ogni euro di Bruxelles c’è sul piatto un euro locale, ma molti Governi adesso non hanno le risorse per co-finanziare i progetti. La Commissione Ue ammette in un rapporto interno che i tagli alla spesa pubblica hanno portato alla cancellazione di molti progetti, a volte anche a uno stadio avanzato.
Si è creata quindi una situazione paradossale in cui i governi tagliano le spese all’insegna dell’austerity imposta da Bruxelles, mentre sul fronte fondi strutturali la Ue vuole che gli stati continuino a spendere. Se i fondi non saranno utilizzati entro il 2015, saranno persi e torneranno nel calderone di Bruxelles. Per questo, secondo il Financial Times, paesi come la Polonia, che non vogliono perdere i finanziamenti, si sono indebitati per far fronte al co-finanziamento. L’effetto collaterale, certamente non voluto, è che la crisi in queste regioni si aggrava sotto il peso dei debiti e il divario con le regioni ricche si allarga.
Un altro problema è il fatto che fondi destinati alle Pmi sono invece finiti nelle casse di multinazionali come Ibm, Nokia Siemens, Fiat, Coca-Cola, British American Tobacco e persino McDonald’s. Johannes Hahn, commissario alle Politiche regionali, sottolinea però che le grandi imprese creano posti di lavoro e che la Ue si trova a competere «a livello globale e intende evitare la de-industrializzazione dell’Europa». La Ue ammette che le accuse principali del Financial Times – mancanza di trasparenza, complessità, difficoltà di stabilire le precise responsabilità, scarsità di controlli, incapacità di punire gli abusi in tempi ragionevoli – sono almeno in parte meritate. Per questo la Commissione ha avviato una consultazione pubblica in vista di una radicale riforma, che preveda una migliore selezione delle priorità di spesa e la definizione di obiettivi precisi da raggiungere. Riforma, quindi, non smantellamento: perché, come sottolinea Hahn, i fondi strutturali sono «parte integrante del grande progetto europeo, dell’idea stessa di Europa».
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