Il 2024 è stato un vero annus horribilis per la foresta dell’Amazzonia, la cui superficie ricade nei confini di ben nove paesi. Sono andati in fumo alberi che ricoprivano un territorio di 418 mila chilometri quadrati, una superficie equivalente all’intera Svezia. Gli incendi nel corso dell’anno sono stati oltre 30 mila, il doppio della media degli ultimi anni.
La principale ragione di questo drammatico record è la crisi climatica, peggiorata dal fenomeno climatico El Nino, ma continuata anche dopo il suo riscaldamento. Con i fiumi dell’Amazzonia ridotti a gigantesche distese di sabbia a causa della siccità e con la vegetazione privata della naturale difesa costituita dall’umidità, la foresta più importante del mondo in più parti si è incendiata con la velocità di un fiammifero. Inoltre, poiché le piante delle foreste auto-producono acqua che contiene il rischio incendi, è probabile che il fenomeno proseguirà anche nei prossimi anni. E non c’è troppo da sperare dalla naturale ricrescita delle piante andate in fumo: con il crollo delle piogge, anche il recupero delle piante è più complicato, e si calcola che la ricrescita compensi solo un terzo di quelle bruciate.
L’impoverimento strutturale dell’Amazzonia per la crisi climatica si aggiunge alla riconversione produttiva dei terreni occupati dalla foresta. Secondo un Rapporto dell’Amazon Network of Georeferenced Socio-Environmental Information, negli ultimi vent’anni sono stati trasformati in terreni agricoli e allevamenti almeno 50 milioni di ettari, un territorio pari all’intera Spagna. Risultato: il 20 per cento dell’Amazzonia è ormai modificato in modo irreversibile, e il 6 per cento risulta altamente degradato. La situazione più critica si verifica nell’Amazzonia boliviana, mentre nella parte brasiliana la trasformazione irreversibile ha riguardato il 25 per cento del territorio.
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Foto apertura di Jordy Neves via Pexels
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