Dehors abusivi: siamo sommersi dai tavolini selvaggi

A Roma quasi la metà dei tavoli esterni dei locali del Centro storico sono abusivi. In alcune zone si arriva all'80 per cento. Stiamo diventando un paese di pizzicagnoli

globalizzazione del cibo
Immaginate che cosa debba essere la vita per chi è costretto a condividerla con l’attività sotto casa di un dehors. Tavolini (spesso selvaggi) che ci circondano ovunque, sfregiando centri storici e periferie, monumenti e luoghi di interesse pubblico. Sottraendo spazio a qualsiasi pedone.

DEHORS ABUSIVI

In Italia la regola è questa: i dehors devono essere abusivi. Il titolare di un locale si sveglia una mattina, piazza i suoi tavolini sul marciapiede, e da quel momento, magari con la solita “mazzetta”, è un intoccabile. E quando si tratta di illegalità, la capitale d’Italia non può essere che Roma, metropoli che vive sullo spreco della corruzione.

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TAVOLINI SELVAGGI

L’amministrazione comunale di Roma ha messo in campo una squadra di cento vigili, un mini-esercito, per individuare i tavolini-selvaggi, rimuoverli e multare i proprietari. Un lavoro impossibile. I numeri sono impressionanti: soltanto nel centro storico, per fare un esempio, quasi la metà dei tavolini degli esercenti sono abusivi. E il 90 per cento dei locali si sono allargati all’esterno senza le necessarie autorizzazioni. A Campo de’ Fiori, uno dei quartieri della movida romana, l’80 per cento dei dehors è fuori legge, e in un solo giorno sono state distribuite multe per 70 mila euro.

DEHORS IN ITALIA

Non si può certo criminalizzare un intero settore e un’attività economica che porta lavoro e reddito, ma questo non giustifica la totale anarchia nella quale agiscono i titolari dei locali. Le concessioni, come al solito, sono in proroga, come nel caso degli stabilimenti balneari e i canoni di affitto sono una giungla. Ogni comune applica tariffe e condizioni che preferisce. Alcuni, per sostenere un settore entrato in crisi con la pandemia, non chiedono nulla; altri applicano canoni irrisori. Il risultato è che negli ultimi anni anche città più ordinate di Roma sono state invase dai dehors con i tavolini sulle strade e sui marciapiedi:  a Milano, in un solo anno, sono state assegnate 1.200 concessioni su una superficie complessiva di quasi 50 mila metri quadrati; A Torino, chiusa la fase del lockdown, i dehors sono aumentati di 500 unità; a Venezia si continuano ad aprire ombrelloni e tavolini.

DEHORS A ROMA

Nei due anni della pandemia, a Roma sono stati montati 2.200 dehors all’esterno dei locali. Anche grazie all’escamotage della “procedura semplificata in conseguenza del Covid-19”. Con questo meccanismo: si prepara un progetto, nel quale è prevista una grandezza delle pedane non superiore alla distanza che le separa dall’ingresso del locale, e non più larghe di due metri, si paga una tassa di 70 euro, si presenta una domanda da silenzio-assenso. E si va avanti. Adesso però l’amministrazione comunale di Roma ha deciso di invertire la rotta, cercando di riportare nella legalità l’attività dei dehors. Il fenomeno del boom dei dehors, nella capitale come nel resto d’Italia è legato a un’altra tendenza: la domanda in costante crescita di tutto quanto abbia a che fare con il cibo.
globalizzazione-cibo (2)(Credits: Matej Kastelic / Shutterstock.com)

GLOBALIZZAZIONE DEL CIBO

Siamo invasi dal cibo. Ovunque. Nelle strade, nelle piazze, nei giardini, nei centri storici. In città come nei borghi, nelle isole come nei centri delle nostre montagne. All’inizio di una scalinata di una chiesa, come nel cuore dei più importanti scavi archeologici del mondo.

Pizzerie, ristorantini, bar, gelaterie, chioschi e baracchini, camion, capanne e una distesa di dehors. Questa nuova microeconomia ha ormai snaturato il paesaggio, non solo urbano, non solo dei centri storici, ma in generale della Bella Italia. Con un ennesimo sfregio e spreco del territorio. Pensate al caso di Roma, uno dei più eclatanti, dove il centro storico è stato ridotto a un gigantesco suq, con la distruzione e la scomparsa di un’intera catena di piccoli artigiani, botteghe, luoghi della storia e dell’identità. O pensate a Pompei, dove lo snaturamento del luogo, di un luogo magico, a vantaggio di una ristretta tribù di piccoli trafficanti in attività pseudo-commerciali, blocca qualsiasi ipotesi di rilancio di questa straordinaria risorsa sprecata, non da una città, da una regione, ma dall’Italia.

GLOBALIZZAZIONE ALIMENTARE

Stiamo diventando un Paese di pizzicagnoli, un mega-suq del cibo, dove sfumano l’estetica (luoghi spesso orribili) e l’etica (il rispetto degli altri, e gli abusi dei tavolini selvaggi). Il cibo è completamente uscito dalle case e dai luoghi ad esso deputato ed è entrato, come una valanga, nel tessuto urbano, fino a rendere interi territori delle caffetterie a cielo aperto.

Ma chi beneficia di tutto ciò? Non certo i cittadini residenti dei luoghi, la comunità del territorio, spesso e continuamente sottoposta alla pressione incivile di gente che mangia appollaiata su uno sgabello in mezzo alla strada o sua una scalinata di grande pregio artistico, ingoiando pizzette e tramezzini, spaghetti, sushi, kebab e falafel. Di tutto, di più. Non ne trae giovamento l’economia, perché questo circo di pizzicagnoli impoverisce due volte i luoghi. Li svuota di altre attività economiche, come abbiamo detto, e li riempie di turisti low cost, che portano più sporcizia e vandalismo che reali benefici all’economia. Con l’eccezione, ovviamente, dei fortunati pizzicagnoli che magari con una baracca sporca e non a norma, diventano anche ricchi.

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L’invasione del cibo, senza alcun freno, senza né regole né verifiche sull’arredo urbano (abbiamo fermato proprio all’ultimo secondo lo scempio di un McDonald’s all’ingresso del Duomo di Firenze), nell’ombra opaca di una strisciante corruzione per permessi e autorizzazioni, è un colpo al cuore all’Italia, e in qualche modo ne rappresenta nel modo più efficace la decadenza.

(Credits immagine di copertina: Sanga Park / Shutterstock.com)

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