L’Adidas condivide con la Nike il primato mondiale di scarpe da ginnastica vendute ogni anno. Per attizzare il mercato, creare nuove domande di un prodotto che corre sempre il rischio di essere superato, la multinazionale americana da alcuni anni ha lanciato una linea di scarpe da ginnastica con la plastica raccolta negli oceani. Tanta plastica, se si pensa che solo per fare i lacci di un paio di scarpe di questo genere servono 11 bottiglie di plastica.
Con la sua linea di scarpe e abbigliamento realizzata in collaborazione con Parley for the Oceans, Adidas vende ogni anno milioni di articoli dei suoi cataloghi in tutto, il ritiene di avere conquistato la sua patente di azienda sostenibile, un etichetta che può spendere a pieno volume per le sue campagne di marketing e pubblicità. Ma qui iniziano i dubbi, e il rischio greenwashing è davvero dietro l’angolo.
Già nel 2021 la multinazionale è stata ritenuta colpevole di aver sostenuto affermazioni false e fuorvianti legate alla sostenibilità, dopo aver inserito nello slogan “Always iconic. Now more sustainable” per sponsorizzare le sue iconiche scarpe Stan Smith . In realtà queste scarpe sono risultate riciclate soltanto al 50 per cento. Anni dopo anche in Francia l’Adidas è stata colta con 2le mani nella marmellata”, a proposito di greenwashing. E l’associazione Zero Waste France no, ha denunciato Adidas, per l’utilizzo di slogan come “Made to be remade” e “End plastic waste”,con queste precise accuse: «Adidas utilizza indiscriminatamente l’argomento del riciclaggio per affermare che alcuni dei suoi prodotti riducono l’impronta di carbonio di chi li acquista. In particolare, le sneakers “FutureCraft Footprint” vengono vendute come un modo per “preservare il pianeta”, senza dire una parola sull’impatto ambientale del poliestere riciclato o sull’impossibilità tecnica del suo riciclo infinito».
Ma la seconda accusa è molto più grave, ed è in aperto contrasto con l’obiettivo numero 8 dell’Agenda Onu 2030 per lo Sviluppo sostenibile (Lavoro dignitoso, sicuro e retribuito equamente per tutti) e con qualsiasi scelta responsabile, da parte di un’azienda, in materia ambientale. Nel rapporto Bound by Brics, pubblicato dalla Lega cambogiana per la promozione e la difesa dei diritti umani (meglio conosciuta con l’acronimo francese Licadho) è stata fatta una drammatica scoperta a proposito delle fabbriche in Cambogia di 21 marchi tra i quali c’è anche Adidas: per alimentare le fornaci alcuni stabilimenti utilizzano scarti di indumenti come plastica, ritagli di tessuto e gomma, la cui combustione causa emissioni nocive dalle conseguenze devastanti per i lavoratori, i loro figli e le comunità vicine. Inoltre queste tecniche di produzione devastano raccolti e terreni, moltiplicano i problemi polmonari dei lavoratori, seminano asma e malattie polmonari ai bambini.
E’ chiaro che Adidas, per il tipo di prodotti che realizza ha molte cose da farsi perdonare, dai suoi stessi consumatori. La produzione di abbigliamento e calzature sportive richiede grandi quantità di acqua ed energia. In particolare, la produzione di cotone e altri materiali agricoli può comportare l’uso eccessivo di pesticidi e fertilizzanti chimici, che inquinano il suolo e le falde acquifere. Inoltre, la produzione di poliuretano e altri materiali plastici richiede risorse non rinnovabili. La catena di produzione di Adidas, come quella di molte altre aziende di abbigliamento, contribuisce alle emissioni di CO₂, in particolare attraverso la produzione e il trasporto dei prodotti. Le fabbriche in paesi come la Cina, la Cambogia e il Vietnam sono alimentate principalmente da fonti energetiche non rinnovabili, contribuendo al cambiamento climatico. La coltivazione intensiva di risorse naturali come il cotone o il caucciù per la produzione di scarpe e abbigliamento può comportare il degrado del suolo e la perdita di biodiversità. Il processo di coltivazione e raccolta, soprattutto quando non è fatto in modo sostenibile, può danneggiare gli ecosistemi locali. Infine, Adidas contribuisce in modo significativo a creare le famose città di rifiuti del settore dell’abbigliamento.
Forse, prima di auto-proclamarsi un’azienda sostenibile e sensibile ai problemi dell’ambiente, i dirigenti di Adidas farebbero bene a intervenire su tutti i fattori insostenibili della loro attività. Dallo sfruttamento della manodopera in paesi sottosviluppati fino alla distruzione di terreni, acque e coltivazioni.
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