I dati patrimoniali della Casta

Come possono i cittadini controllare la ‘casta’ dei politici? Sarebbe necessaria una piattaforma che consentisse di pubblicare online dati e compensi, costi delle consulenze e redditi annuali. A questo hanno pensato i radicali con il sito http://anagrafepubblica.radicaleaks.it/ che sullo stile di Wikileaks intende rendere pubblici e liberamente consultabili dai cittadini i dati patrimoniali che riguardano […]

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Come possono i cittadini controllare la ‘casta’ dei politici? Sarebbe necessaria una piattaforma che consentisse di pubblicare online dati e compensi, costi delle consulenze e redditi annuali. A questo hanno pensato i radicali con il sito http://anagrafepubblica.radicaleaks.it/ che sullo stile di Wikileaks intende rendere pubblici e liberamente consultabili dai cittadini i dati patrimoniali che riguardano eletti e nominati. Già dal 2007, i radicali hanno portato avanti una campagna per la trasparenza che in molte amministrazioni, dai Comuni alle Regioni, è già una realtà.

Inclusa anche tra i punti del programma della lista Bonino-Pannella alle scorse regionali e al consiglio del Lazio, era stata avanzata una proposta di legge per passare dall’era della rendicontazione cartacea e opaca a quella più trasparente dell’e-government. Quello che oggi i radicali propongono – con la collaborazione di  Agorà Digitale , Linked Open Data, e l’associazione Valigia Blu – è la prosecuzione naturale del progetto di ‘open data’ di cui si sono fatti promotori negli anni scorsi, approdato a una piattaforma online che fa eco al celebre sito di Julian Assange.

“Fino a oggi siamo stati noi radicali a fare i conti in tasca alla politica, con la pubblicazione degli elenchi di consulenti e fornitori del Parlamento grazie al lavoro di Rita Bernardini”, spiega Mario Staderini, segretario dei Radicali italiani. “Tuttavia crediamo che la caccia alla casta la debbano fare i cittadini. Abbiamo usato il metodo Wikileaks per stare al passo con la tecnologia, ma già negli anni Settanta il partito piratava le sedute parlamentari e le trasmetteva a Radio radicale”. Oggi sono gli stessi cittadini che firmando sul sito chiedono al Parlamento di “pubblicare online i dati patrimoniali dei deputati e senatori” per “conoscere non solo reddito, pensione, rimborsi spese di ogni parlamentare, ma anche le sue proprietà immobiliari, i pacchetti azionari che detiene, gli incarichi che ricopre in consigli di amministrazione e altri organismi, le sue spese elettorali. Tuttavia, appellandosi alla legge sulla privacy, deputati e senatori possono rifiutare di redere pubblici questi dati”. Per arrivare all’obiettivo infatti, dopo la firma, si passa alla alla fase di mail bombing, con l’invio di messaggi di posta elettronica al parlamentare selezionato dal sito a cui chiedere “gentilmente di pubblicare i suoi dati patrimoniali per l’Anagrafe Pubblica degli Eletti”.

Staderini specifica che i cittadini, esaminando cifre e documenti, potranno segnalare le irregolarità: “Qualche cittadino, ad esempio, avrebbe segnalato che la casa di Scajola non era a prezzo di mercato se i dati fossero stati pubblici”, conclude. Finora hanno dato l’ok 57 deputati su 630 (pari al 9,05% dei parlamentari) che hanno fornito i dati patrimoniali dal 2008 al 2010 e il dettaglio degli incarichi ricoperti nelle amministrazioni pubbliche. Sono 24 del Pd, 20 del Pdl, 3 di Fli, Lega, Udc e gruppo Misto e 2 dell’Italia dei Valori. “Tenere il fiato sul collo dei politici è l’unico tentativo per farsi ascoltare”, spiega Arianna Ciccone di ValigiaBlu che ha deciso di aderire al rilancio della campagna open data e di diffondere il progetto via Facebook e Twitter. “I parlamentari italiani non rendono conto a chi li ha eletti. In Inghilterra invece, oltre ad avere un appuntamento settimanale fisso in cui rispondono alle domande dei cittadini, forniscono addirittura il loro cellulare dove sono sempre reperibili. Nel nostro paese, purtroppo, viviamo una situazione di silenzio imbarazzante”. Ma gli elettori saranno capaci di districarsi tra i dati online? Secondo la Ciccone, “elettori e grandi media dovrebbero lavorare insieme su questo, come sta facendo il Guardian in Inghilterra. E’ questo l’abbinamento vincente”.

 

 

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