Le vacanze sono sacre, per carità. E in Italia siamo specialisti nei ponti: appena possibile li allunghiamo come un elastico, sommando feste di santi e ricorrenze civili. Ma la decisione dei nostri onorevoli di blindare le ferie, quaranta giorni secchi, dal 2 agosto al 12 settembre, più che la spia di un ennesimo privilegio è uno schiaffo al buon senso. Condito di ipocrisia e di umorismo. La conferenza dei capigruppo della Camera, infatti, per giustificare la scelta delle vacanze lunghe ha evocato “la prassi degli anni scorsi”. Della serie: tutto regolare, tutto come sempre. Ma questa vi sembra un’estate normale dal punto di vista politico? Nessun deputato o senatore, certo, può bloccare la speculazione finanziaria attraversando le vasche di Montecitorio o infilandosi alla buvette per il pranzo a tariffa super scontata. Eppure l’Italia è sotto scacco per un attacco senza precedenti dei mercati che colpiscono, guarda caso, laddove annusano l’odore di una politica in decomposizione, proprio come nel nostro caso. Aggrediscono governi deboli, parlamenti poco credibili, conti pubblici in bilico: l’Italia di questa rovente estate, appunto. Giorgio Napolitano, qualche giorno fa, aveva dato l’esempio, rinviando la sua partenza (in traghetto, non con gli aerei di Stato) per le isole Eolie e stando al comunicato dei capigruppo la scelta del presidente della Repubblica è stata del tutto inutile, priva di qualsiasi significato. Dalla caduta di stile e di sensibilità, poi, si passa alla farsa quando, sempre per motivare i 40 giorni di un calendario intoccabile, è saltata fuori la storia del pellegrinaggio in Terra Santa. Un centinaio di parlamentari hanno già pagato biglietti di viaggio e soggiorno per andare, agli inizi di settembre, sulle tracce della predicazione di Gesù e quindi non avrebbero comunque potuto riprendere prima il loro lavoro in aula. Una questione di fede, insomma, o se volete un voto di un ceto politico che ha bisogno proprio di un miracolo per sopravvivere senza fare brutte figure. Inutile dire che, come nel caso dei tagli ai costi della politica (sempre annunciati e sempre rinviati), quasi tutti i partiti avevano auspicato una sforbiciata alle vacanze per dare un segnale al Paese in un momento di tensione così alta. Già, un segnale. Perché in questo caso non contano la Casta e i suoi vizietti ma, ripetiamo, c’è solo da fare i conti con la più elementare ragionevolezza: e la politica, per essere credibile, si alimenta anche di piccoli gesti, segnali che l’avvicinano all’opinione pubblica e alla sua sensibilità.
Dunque, nel nome della prassi e dei Vangeli i parlamentari italiani non rinunceranno neanche a un giorno di ferie. E una volta tanto non saranno in conflitto con la magistratura, visto che i tribunali sono già chiusi da qualche giorno e la categoria continua a proteggere il suo record di 56 giorni filati di ininterrotto riposo. Continuando così a rientrare prima dal mare e dalla montagna saranno i soliti italiani qualunque, che il calendario estivo lo hanno dovuto tagliare innanzitutto per motivi di budget. Ed a loro più che il viaggio in Terra Santa li aspetta una via crucis nell’autunno di un Paese in ginocchio.
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