Premetto: sono un elettore di Ignazio Marino. Deluso, è un eufemismo, dall’amministrazione di Gianni Alemanno, ho votato nel giugno scorso per un nuovo sindaco di Roma che mi aveva promesso il cambiamento. Purtroppo, dopo quattro mesi, non ho visto ancora un segnale, dico uno, di vera svolta. Roma non si cambia in un giorno, lo sappiamo bene noi cittadini della capitale con le nostre colpe innanzitutto di scarso senso civico, ma da Marino mi aspettavo qualcosa di concreto e di efficace già entro i primi cento giorni del suo mandato. E invece, come ho scritto in questo articolo per il quotidiano Il Mattino, gli errori si stanno moltiplicando.
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Una pedalata non basta per governare Roma. E il sindaco in bicicletta, con la scorta dei vigili che affannano alle sue spalle, dopo soli quattro mesi di scivolate a ripetizione rischia di ritrovarsi a piedi, da solo, magari commissariato. La parabola di Ignazio Marino, il “marziano” sbarcato a Roma con grandi promesse di cambiamento e tra mille aspettative dei cittadini-elettori, si sta consumando a una velocità supersonica più che al ritmo di una passeggiata a due ruote. L’amministrazione è sull’orlo della bancarotta, il traffico più infernale del solito, i mezzi pubblici circolano a singhiozzo, la spazzatura è ancora senza una destinazione. E lui, il chirurgo con esperienze professionali in America, l’ex senatore che voleva sparigliare il tavolo delle oligarchie, locali e nazionali, del suo partito, il Pd, si ritrova nel labirinto del suo autismo e dei suoi errori. Uno incatenato all’altro.
I numeri che non tornano. Il comune di Roma rischia il default e l’agenzia Fitch ha appena declassato il debito della capitale, con una mortificante postilla: le previsioni delle entrate sono gonfiate, mentre i debiti delle municipalizzate, leggi Atac e Ama, sono fuori controllo. Servono, come il pane, 867 milioni di euro entro il 30 novembre e un altro miliardo bisognerà trovarlo per il 2014. La ciambella di salvataggio arriverà, a spese degli italiani, dal governo, ma il negoziato con il ministero dell’Economia è stato gestito con molta approssimazione, e mentre i numeri del bilancio comunale ballano nel buio, come denuncia la bocciatura di Fitch, un pre-pensionamento di dipendenti comunali, per tagliare i costi del personale, per il momento è stato bocciato in Senato. La prossima puntata di questo film dell’orrore amministrativo sarà, probabilmente, la sostituzione dell’assessore al Bilancio, Daniela Morgante (che arriva dalla Corte dei Conti), in contrasto permanente ed effettivo con Marino, e una bella stangata per i romani, che già pagano le tasse più alte d’Italia, sull’aliquota Irpef di competenza comunale.
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Una squadra di novizi. Il caso Morgante non è isolato all’interno della giunta. Marino ha formato, in autonoma solitudine, un’amministrazione con facce nuove, di età media non elevata, e con una parità di genere, sei uomini e sei donne, all’insegna del “politicamente corretto”. Nella chimica del gruppo mancano però due elementi essenziali: il gioco di squadra e innanzitutto l’esperienza di una grande macchina amministrativa e di un governo, anche locale. L’unico assessore che può vantare un’esperienza del genere è Guido Improta (Trasporti e Mobilità), già capo di gabinetto con alcuni ministri ed ex sottosegretario, proprio ai Trasporti, del governo Monti. Troppo poco per un’intera giunta. Così, per esempio, l’assessore alla Cultura, Flavia Barca, sembra ancora alla ricerca di una bussola nel giacimento di tesori che fanno capo alla sua responsabilità: ma intanto, dopo quattro mesi, nessuno ha ancora capito che cosa intenda fare di uno dei più importanti musei comunali, il Macro, che potrebbe affondare nella palude dell’immobilismo. Senza né un vertice né un programma.
Il mito della bici. Tra un foto e l’altra delle sue marcette a pedali, Marino ha firmato un solo progetto concreto per la città: la pedonalizzazione dei Fori Imperiali. L’idea di puntare a una riduzione dell’uso dell’automobile è sicuramente in linea le scelte dei sindaci di tutte le grandi metropoli europee e Marino ha promesso di diminuire del 20 per cento, in cinque anni, gli spostamenti in auto. Peccato però che, nei fatti, la principale alternativa all’automobile, i mezzi pubblici, a Roma si traduce in un disastro collettivo. L’Atac, con un organico gonfiato con 12mila dipendenti, è un pozzo di San Patrizio di sprechi (compresi gli stipendi d’oro a 82 dirigenti) e inefficienze, e la circolazione degli autobus in città negli ultimi quattro mesi è ancora peggiorata. In queste condizioni i romani si ritrovano, secondo le statistiche dell’Aci, a compiere il tragitto medio casa-lavoro in un’ora di tempo per ogni sei chilometri di strada. E la pedonalizzazione dei Fori Imperiali si è tradotta in una decisione che ha scontentato tutti. Dai commercianti agli imprenditori, dalle famiglie che portano i figli a scuola ai pendolari al lavoro. Fino agli stessi ciclisti.
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La scivolata sui vigili urbani. Dare un nuovo capo ai 6.300 vigili urbani romani, che non sempre brillano per trasparenza ed efficienza, era un diritto-dovere del nuovo sindaco. Ma sceglierlo, dopo avere annunciato in pompa magna un metodo rigoroso, l’esame di 99 curricula, senza neanche approfondire i requisiti del vincitore, il colonnello dei Carabinieri Oreste Leporace, più che un pasticcio è una prova di dilettantismo. Il povero Leporace, che ci teneva tanto alla sua nomina, è stato mandato allo sbaraglio da una svista clamorosa: possiede tre lauree e un master, ma è colonnello solo da nove mesi e non dai cinque anni richiesti dal regolamento comunale. In Campidoglio i requisiti per gli incarichi sembrano diventati un gioco delle tre carte, e anche Andrea Bianchi, collaboratore del vice sindaco Luigi Nieri con uno stipendio di 115mila euro l’anno, è stato assunto con una laurea che non aveva mai preso. Infine, mentre si aspetta il via libera per i tagli del personale, l’amministrazione comunale è andata avanti con 75 assunzioni dello staff di Marino e nell’ufficio stampa. Erano tutte necessarie?
L’isolamento politico. Non arrivare dalle nomenclature dei partiti, oggi tutti così screditati, in questo periodo può essere un vantaggio. Eppure Marino è riuscito a trasformare questa opportunità in un boomerang. Oggi più che nei panni di un “marziano”, il sindaco si ritrova con le sembianze di Forrest Gamp, in totale isolamento innanzitutto all’interno del suo partito e della sua maggioranza. Marino è in freddo glaciale perfino con chi lo ha sostenuto in campagna elettorale da king maker, leggi Goffredo Bettini, e con chi dovrebbe accompagnarlo, a proposito di bici, in un lavoro di tandem, il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, uno dei pezzi forti della nuova classe dirigente del centrosinistra. Senza un’indispensabile rapporto, perfino di comunicazione, con il suo schieramento di riferimento, Marino fa fatica a prendere qualsiasi decisione. Si avvita sui contrasti che paralizzano il suo lavoro, ed è costretto a osservare, da passivo spettatore più che da sindaco “marziano”, il quotidiano degrado della capitale. In ogni angolo della città, come documentano le immagini e i testi di un sito seguitissimo in città. Si chiama, e il nome dice tutto, www.romafaschifo.it
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