Il Giappone riprende la caccia alle balene

L’anno scorso la caccia alla balene non era stata così redditizia per la flotta baleniera giapponese. Le azioni di contrasto degli «ecopirati» della Sea Shepherd Conservation Society erano state più incisive del solito e alla fine il «bottino» era risultato relativamente misero: solo 172 esemplari catturati, circa un quinto di quanto si erano riproposti. Per […]

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L’anno scorso la caccia alla balene non era stata così redditizia per la flotta baleniera giapponese. Le azioni di contrasto degli «ecopirati» della Sea Shepherd Conservation Society erano state più incisive del solito e alla fine il «bottino» era risultato relativamente misero: solo 172 esemplari catturati, circa un quinto di quanto si erano riproposti. Per questo motivo quest’anno le autorità nipponiche hanno deciso di correre ai ripari e di affiancare alle tre navi salpate martedì dal porto di Shimonoseki – con l’obiettivo di catturare 900 balene nello spazio di tre mesi – una modovedetta della guardia costiera: «Abbiamo deciso di rinforzare la sicurezza come mai prima d’ora» ha spiegato un ufficiale, senza però fornire ulteriori dettagli.

FRIZIONI DIPLOMATICHE – Una decisione che a però di creare ulteriori frizioni diplomatiche tra Tokyo e Australia e Nuova Zelanda, che considerano le acque del Southern Ocean un vero e proprio «santuario» e che considerano sì le balene come una risorsa ma solo ai fini turistici e naturalistici per la sempre più diffusa pratica del whale-watching. Il governo di Canberra ha già presentato un’azione legale alla Corte internazionale di giustizia, ma ha escluso di mettere in campo proprie unità navali per garantire la pace nelle acque internazionali in quella che si annuncia come una delle più movimentate estati artiche degli ultimi anni. Erano stati i verdi australiani a chiedere il sostegno militare del proprio governo esprimendo il timore che eventuali scontri al largo possano essere letali.

POLEMICHE IN GIAPPONE – La polemica in ogni caso è forte anche in Giappone, dove la carne di balena continua ad essere molto ricercata anche se sembrerebbe godere di sempre meno appeal tra i consumatori. A Tokyo gli attivisti di Greenpeace ha puntato il dito contro il governo e denunciato il fatto che alla flotta baleniera sia andata una fetta consistente dei fondi destinati all’industria della pesca come aiuto alla ripresa dopo la devastazione dello tsunami dello scorso marzo. Gli attivisti hanno parlato di circa 25 milioni di euro intercettati dai balenieri dal fondo di assistenza post-terremoto. «È scandaloso che il governo giapponese attinga dai contribuenti denaro per un programma non necessario, non richiesto ed economicamente poco significativo – ha spiegato al quotidiano britannico Guardian Junichi Sato, il responsabile di Greenpeace Japan -. La caccia alle balene è un punto nero per la reputazione internazionale del Giappone ed è un buco nero per il denaro dei contribuenti. Gettare tanto denaro questo periodo di crisi è vergognoso, non è possibile sprecare risorse per l’operazione antartica quando ci sono persone che soffrono in patria». Le organizzazioni della pesca sostengono invece che l’utilizzo di quei fondi è giustificato perché alcune delle città colpite dallo tsunami erano porti balenieri o centri comunque legati alla lavorazione della carne di balena. Diversi gruppi ambientalisti si sono fatti promotori di una petizione per chiedere al governo giapponese di utilizzare il denaro stanziato per la caccia alle balene per progetti che siano davvero a sostegno delle popolazioni colpite dal sisma.

POLEMICHE IN AUSTRALIA – La caccia alle balene è vietata dal 1986 da una moratoria internazionale dell’International Whaling Commission, ma alcuni Paesi – tra cui, oltre al Giappone, anche l’Islanda e la Norvegia – non la riconoscono. Le autorità nipponiche, tuttavia, con il pretesto della ricerca scientifica hanno sempre rivendicato il diritto di proseguire una tradizione centenaria che pure oggi si sta rivelando anti-economica. La stessa flotta di navi e pescherecci utilizzata durante le spedizioni risente degli anni e la nave madre, la Nisshin Maru, si trova nella condizione di non poter solcare le acque dell’Antartico a causa dei serbatoi obsoleti. Sea Shepherd, dal canto suo, è pronta a dare battaglia e a frapporsi con le sue imbarcazioni tra le balene e le imbarcazioni nipponiche, cercando di ostacolare le operazioni. Tuttavia Paul Watson, il comandante di Sea Shepherd, contesta la scelta di disimpegno del governo australiano, che ha spiegato la decisione di non mandare proprie unità navali per un principio di equità: anche i giapponesi, infatti, avevano chiesto la loro assistenza in funzione anti-animalisti e avendo detto di no era stato inevitabile rispondere negativamente anche alla richiesta degli «ecopirati». «La differenza sta però nel fatto che a bordo delle nostre navi ci sono anche cittadini australiani e che la caccia si svolgerà soprattutto in acque territoriali di competenza di Canberra. «L’Australia ha dichiarato che la caccia alle balene dei giapponesi è illegale – sottolinea Watson sul sito di Sea Shepherd -, sa che ci sono suoi cittadini che possono rimanere coinvolti, che le operazioni si svolgono sul proprio territorio e nonostante tutto si chiamano fuori. Cosa diranno se i giapponesi dovessero ferire qualche cittadino australiano in acque australiane?».

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