L’impegno che il primo ministro inglese David Cameron aveva assunto a pochi giorni dal proprio insediamento nella primavera del 2010 era apparso da subito particolarmente ambizioso: passare alla storia come il “greenest government ever”, il governo più verde di sempre che avrebbe contribuito a traghettare l’economia nazionale verso un futuro eco-sostenibile.
A più di un anno e mezzo da quell’intervento, è opinione comune tra commentatori e operatori di settore che il governo ha ancora molto da lavorare se vuole mantenere fede alla promessa fatta dal primo ministro. Nella coalizione tra conservatori e liberal-democratici (lib-dem) sono emerse prevedibili fratture, non solo tra i due partiti, ma anche all’interno delle singole componenti. La Gran Bretagna aspira ad essere un paese leader della rivoluzione verde, ma deve conciliare tali ambizioni con magre risorse in bilancio ed una economia che stenta a riprendersi.
Il Regno Unito gode di un solido consenso trasversale all’interno della classe dirigente sulla necessità di coordinare un intervento globale per prevenire le conseguenza più nefaste dovute ai cambiamenti climatici. I tre partiti principali hanno trovato ampia sintonia su una serie di recenti misure volte a riformare il tessuto energetico-industriale del paese. Era stato il primo ministro laburista Tony Blair a porre la questione ambientale al centro del dibattito pubblico, promuovendo, tra le altre cose, la pubblicazione della Stern Review, documento chiave nella lotta al climate change. David Cameron, da parte sua, ha deciso di rinnovare l’immagine del partito conservatore, facendo di ecologia e sostenibilità temi centrali su cui combattere la campagna elettorale del 2010. Il nuovo logo del partito richiama l’agenda verde: lo schizzo di un albero dal fogliame rigoglioso. I liberal-democratici, entrati nella coalizione di governo quando nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta, si sono trovati in perfetta sintonia con il leader conservatore nel promuovere l’obiettivo del greenest government ever.
Il bilanciamento tra priorità economiche e politiche ambientali non è mai tra i più semplici, ed i problemi emersi con la crisi del 2008 hanno reso l’esercizio ancora più complesso. Il partito conservatore ha assunto il potere con un piano preciso di riduzione del debito pubblico tramite tagli alla spesa e aumento della tassazione. Tra le voci del capitolo energia e ambiente, la Feed-in Tariff per gli impianti fotovoltaici è stata la prima ad essere colpita nel bilancio 2011, con l’introduzione di un tetto da 860 milioni spalmato su quattro anni. Il Tesoro, in mano al conservatore George Osborne, ha avuto la meglio sul Ministero dei Cambiamenti Climatici (DECC) a guida lib-dem, più vicino alle posizione dei circoli ambientalisti. Una frattura più seria è emersa lo scorso maggio con l’approvazione del quarto Carbon Budget, un programma legalmente vincolante di riduzione del 50% delle emissioni di anidride carbonica entro il 2027. I due ministeri si sono trovati nuovamente su posizioni divergenti e solo l’intervento del premier Cameron, che si è pronunciato a favore della proposta supportata dal DECC, ha messo la parola fine all’intera vicenda. Secondo il Cancelliere Osborne, target eccessivamente elevati, per quanto encomiabili, rischiano di generare fenomeni di carbon leakage e minare la competitività delle imprese nazionali.
Anche il linguaggio sui temi ambientali ha recentemente cambiato registro, soprattutto tra quei settori del partito conservatore ai quali la svolta ecologica voluta da Cameron prima delle elezioni non era andata particolarmente a genio. La voce più eloquente in tal senso è stata di nuovo quella del ministro Osborne. «La Gran Bretagna rappresenta solo il 2% delle emissioni globali» ha affermato il responsabile del Tesoro durante la conferenza annuale del partito lo scorso settembre «non abbiamo intenzione di tagliare le emissioni di CO2 piu lentamente, ma neanche più velocemente, dei nostri partner europei». Nell’introdurre una serie di agevolazioni fiscali a favore delle imprese energivore più affette dalle misure di riduzione di gas inquinanti, il Cancelliere ha recentemente commentato che «non salveremo il pianeta» costringendo imprese e capannoni nazionali a chiudere bottega.
Le parole di Osborne, ragionevoli o meno che siano, stridono con l’immagine che i conservatori si erano impegnati a costruire durante la campagna elettorale ed appaiono più in sintonia con i settori più tradizionali del partito. Per quanto sia opinione ampiamente condivisa che il futuro industriale del Regno Unito risieda nello sviluppo e sfruttamento delle tecnologie verdi, la lotta ai cambiamenti climatici non ha la stessa capacità di mobilitazione dell’elettorato che poteva vantare qualche anno fa. Tra le preoccupazioni maggiori dei cittadini dominano infatti i costi della benzina ed i rincari della bolletta energetica, di cui, secondo alcuni, sarebbero in parte responsabili i sussidi elargiti a favore delle rinnovabili. Come ha sottolineato con una nota di cinismo il think tank conservatore “Conservative Home” il governo, almeno nella sua anima conservatrice, è ormai del parere che l’ambiente sia «un tema che fa perdere voti (a vote-losing issue)».
Il giudizio delle associazioni ambientaliste sull’operato della coalizione verte piuttosto sul negativo: delle ventinove proposte inserite nel patto di governo, solo sette sarebbero state realizzate a pieno. Mancanza di coesione intra-ministeriale e vaghezza nelle strategie di implementazione sono ritenute tra le cause principali di tale lentezza. Ciò che impensierisce maggiormente vari opinionisti ed una parte del mondo imprenditoriale è però la mancanza di una visione d’insieme condivisa, di una sorta di strategia di medio-lungo periodo che impegni il governo a perseguire senza indugio l’agenda ambientale e fornisca agli investitori le garanzie necessarie. Il commentatore Damian Carrington, per esempio, non manca occasione per sottoporre a critica feroce l’operato dei tecnici del ministero del Tesoro, ancora legati ad un modello mentale che, secondo l’opinionista del the Guardian, tende a considerare crescita economica e politiche ecologiche come mutualmente esclusivi, invece di trattarli come poli convergenti su cui fondare un nuovo paradigma economico. Diversi commentatori si sono appellati a David Cameron affinché’ manifesti più’ esplicitamente il proprio sostegno all’agenda ambientale della coalizione. Fino ad oggi la dichiarazione più pregnante del primo ministro viene infatti ancora ritenuta quella elargita nella primavera del 2010 sul greenest government ever.
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