ABITUATI come siamo a coltivarli, fotografarli o semplicemente farci inebriare dal loro profumo a primavera, raramente li vediamo per ciò che in realtà sono: forme di vita estremamente resistenti, protagoniste di uno dei capitoli più affascinanti – e misteriosi – della storia naturale. Eppure sono stati proprio loro, i fiori, ad aver fatto dannare più di qualsiasi altra cosa schiere di evoluzionisti e botanici, che per secoli hanno cercato di capire come potesse essere avvenuta, nel corso del Cretaceo, un’evoluzione tanto rapida e discontinua da riempire la Terra di forme e colori capaci di resistere a ogni tipo di evento traumatico.
Ne sapeva qualcosa Charles Darwin, che definì l’origine delle angiosperme (tutte le piante i cui semi sono avvolti da un frutto) “un abominevole mistero”. Ora, facendo tesoro delle scoperte messe a segno nell’ultimo decennio, un gruppo di studiosi della Pennsylvania State University 1e di altri centri di ricerca statunitensi e cinesi ha elaborato una nuova, più convincente versione della storia delle piante a fiore, spostando indietro di circa 200 milioni di anni la loro data di nascita. Secondo la nuova “epica del fiore”, insomma, dobbiamo ringraziare almeno due eventi di mutazione genetica, avvenuti rispettivamente 320 e 200 milioni di anni fa, se oggi il nostro mondo è popolato da oltre 300.000 specie di piante tanto diverse quanto magnolie e ciliegi, rose e tulipani.
Darwin e “l’abominevole mistero”.
Era il 22 luglio del 1879 quando Darwin, in una conversazione epistolare con l’amico, esploratore e botanico Joseph Hooker, diede sfogo a tutta la sua frustrazione per non riuscire spiegarsi quello che altrove definì “il più sorprendente dei fenomeni”: “Per quanto possiamo giudicare, il rapido sviluppo delle piante a fiore in tempi geologici recenti è un abominevole mistero”. Recentemente William E. Friedman, professore di Biologia evoluzionistica all’Università del Colorado, ha spiegato in un articolo 2come questo tormento – “un’odissea durata sei anni” – abbia portato il celebre scienziato a sviluppare una congettura che lui stesso considerava “sventuratamente povera”, ossia che le piante più evolute potessero essere nate in un’isola o in un continente perduto dell’emisfero sud. A far dannare Darwin – e molti altri dopo di lui – era lo studio dei reperti fossili, che datava la comparsa di diverse specie di angiosperme al periodo noto come Cretaceo inferiore (circa 130 milioni di anni fa), con poche o nulle testimonianze di un’evoluzione graduale. Le ipotesi, a quel punto, erano due: o i reperti più antichi erano andati misteriosamente persi, oppure la sua teoria per cui “natura non facit saltum” aveva bisogno di una seria aggiustata.
Il successo delle piante a fiore. A risolvere il dilemma è stato lo studio della genetica. Da tempo si sa che le piante a fiore devono il loro successo a particolari mutazioni genetiche chiamate “eventi di poliploidia”, ma nessuno, finora, era riuscito a identificare con un buon grado di approssimazione il momento in cui questi episodi si sono verificati e quali conseguenze ne sono derivate. É qui che entra in gioco il lavoro di Claude dePamphilis, professore di Biologia alla Penn State University, e colleghi. I ricercatori, infatti, hanno dimostrato che nel genoma delle piante sono avvenute almeno due profonde trasformazioni centinaia di milioni di anni fa, circa 200 milioni di anni prima rispetto alle mutazioni descritte da altri gruppi di ricerca. Lo studio, pubblicato in anteprima sulla versione online di Nature 3, indica anche come questi “sconvolgimenti del Dna” abbiano prodotto migliaia di nuovi geni, verosimilmente responsabili della cosiddetta “esplosione evolutiva” a cui si deve l’odierna varietà di piante a fiori. Secondo Nature, lo studio, che fornisce una marea di nuovi dati genetici e una scala evolutiva più precisa, è abbastanza rivoluzionario da “cambiare il modo in cui i biologi vedono gli alberi filogenetici delle piante in generale e di quelle a fiore in particolare”.
Una storia scritta nel Dna. “Abbiamo portato avanti un intenso lavoro di indagine, analizzando nove genomi di piante precedentemente sequenziati e milioni di nuove sequenze di Dna di piante a fiori appartenenti al ramo più antico dell’albero filogenetico delle angiosperme”, ha spiegato dePamphilis. Questi ultimi dati sono stati raccolti grazie all’Ancestral Angiosperm Genome Project 4, un progetto la cui “mission” è scoprire i segreti genetici che hanno spinto per la prima volta una pianta a fiorire. “Sapevamo – ha continuato dePamphilis – che a un certo punto ci saremmo trovati di fronte a una o più importanti metamorfosi genetiche negli antenati delle angiosperme, e che queste trasformazioni potevano essere alla base del successo di molte specie che oggi vivono sulla Terra”. Soprattutto, ha aggiunto il biologo – “avevamo il sospetto che questi sconvolgimenti fossero stati innescati da un meccanismo comune, piuttosto che da diversi eventi indipendenti”.
I due Big Bang all’origine del primo fiore. Così, dall’analisi dei dati di sequenza molecolare, i ricercatori sono riusciti a scoprire e calcolare le date di due episodi di poliploidia, vale a dire “l’acquisizione, tramite mutazione, di una ‘doppia dosè di materiale genetico”. “La duplicazione del Dna può avvenire anche nei vertebrati, ma di solito ha esiti letali”, ha spiegato Yuannian Jiao, ricercatore della Penn State e primo autore dell’articolo. “Le piante, al contrario, possono sopravvivere e talvolta persino trarre beneficio dai genomi duplicati”, ha aggiunto il ricercatore. “Anche se la maggior parte dei geni nati da eventi di poliploidia tende a perdersi, alcuni possono adottare nuove funzioni o, in alcuni casi, farsi carico di parte del lavoro fino a quel momento svolto dai geni originari. In questo modo, l’intero genoma ha la possibilità di aumentare l’efficienza e la specializzazione dei compiti”. Finora, queste mutazioni erano state fatte risalire a un periodo compreso tra i 125 e i 150 milioni di anni fa. Jiao e colleghi, invece, hanno identificato un paio di grandi eventi paragonabili a due “Big Bang” delle piante a fiori: il primo ha riguardato gli antenati di tutte le piante a seme e si è verificato circa 320 milioni di anni fa; l’altro è avvenuto specificatamente nella “stirpe” delle angiosperme tra i 192 e i 210 milioni di anni or sono.
Il Rinascimento genomico. Secondo dePamphilis, queste due grandi trasformazioni hanno messo in moto una specie di “Rinascimento genetico” di cui le piante stanno ancora raccogliendo i risultati. “É grazie a eventi come questi che le piante a fiore hanno potuto sviluppare nuove e più efficienti funzioni, riuscendo così a sopravvivere a cambiamenti climatici durissimi e alle estinzioni di massa”, ha aggiunto il professore. Un esempio è l’estinzione che si verificò nel Cretaceo-Terziario (circa 65 milioni di anni fa) quando, forse in seguito all’impatto con un enorme asteroide, scomparve dalla Terra qualcosa come il 76% di tutte le specie viventi, tra cui i famigerati dinosauri. Le piante a fiore, al contrario, non solo sopravvissero, ma divennero “sempre più varie, eleganti e prevalenti”, al punto che la loro forza continua a essere, almeno in parte, un mistero. Come può, in effetti, una corazza di petali celare tanto potere?
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