Una città nella città, fatta di strade, vialetti, casette a due piani. Con un bar, il parrucchiere, il minimarket. Dove le persone malate di Alzheimer e demenza senile sanno ritrovare il senso di sè, dell’esistenza e della quotidianità. E’ proprio questo lo scopo del progetto “Il paese ritrovato”, alle porte di Monza, il primo esperimento del genere in Italia, secondo dopo l’Olanda. E’ l’idea rivoluzionaria che mancava, un vero villaggio costruito apposta per le persone affette da forme più o meno lievi di demenza senile, con un approccio diverso, meno medicale, più collettivo e inclusivo.
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IL PAESE RITROVATO MONZA
14mila metri quadrati destinati al villaggio, dove tutto è accuratamente pensato e studiato per fare parte del percorso di cura e assistenza, dalle pareti, beige e rosso mattone, così ci si muove con facilità, alle luci di cortesia posizionate sul pavimento, che rendono possibile l’orientarsi anche durante la notte. Non solo. Gli spostamenti di ogni paziente nel villaggio sono monitorati passo passo dai coordinatori attraverso dei braccialetti elettronici multifunzione, che permette loro di pagare, aprire le porte, ed essere costantemente sotto supervisione attenta degli operatori e delle operatrici.
IL PAESE RITROVATO ALZHEIMER
Anche il ruolo degli operatori è radicalmente diverso: non infermieri e infermiere in camice bianco bensì amici e amiche che non solo offrono assistenza costante, ma si trasformano anche in gerenti dei 14 negozietti del villaggio: dall’operatore-barista, all’operatrice parrucchiera.
Gli appartamenti sono enormi e accolgono 8 camere da letto, una zona pranzo in comune e tre grandi zone giorno. Fuori: un bar, un minimarket, la proloco, la chiesa, il cine-teatro e il parrucchiere. Ma anche la palestra, appositamente attrezzata e hi-tech, e una sala per i percorsi sensoriali coordinati dalla psicologa del centro, che aiuta gli ospiti ad utilizzare i sensi, la memoria, a tenere acceso il cervello e vivo il corpo.
Perché è proprio questo il doppio binario su cui si muove il villaggio di Monza: da una parte l’estremo bisogno di attenzioni e cure che questo tipo di pazienti hanno, per far star tranquille le famiglie che spesso non hanno le competenze, le abilità o il tempo necessario per tale lavoro di cura, dall’altra il pensare che non è necessario medicalizzare in modo eccessivo tale patologia, occorre piuttosto restituire il senso dell’esistenza a chi sta smarrendo ricordi e memoria, permettendo loro di comprare i propri biscotti preferiti, fare una messa in piega coi bigodini o dire una preghiera in chiesa.
Una quotidianità controllata e sicura che li rende indipendenti e restituisce loro una vita serena e piena.
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COSA SAPERE SULL’ALZHEIMER
Ideato e gestito dall’Associazione La Meridiana, il Paese Ritrovato è nato dopo la prima sperimentazione europea, a West, nei dintorni di Amsterdam, dove è attivo un Villaggio dell’Alzheimer già dal 2009, e sta diventando un punto di riferimento per medici, ricercatori, psicologi ed operatori socio-assistenziali che hanno l’idea di farne diventare un modello da esportare. Tanto è vero che le trattative sono assolutamente in dirittura d’arrivo per farne sorgere uno a Roma, uno a Varese e uno addirittura in California.
I costi per la realizzazione non sono bassi, ma il progetto è stato in grado di mettere in moto circoli virtuosi di welfare sociale, con l’impegno attivo di fondazioni, banche, privati cittadini, donazioni varie.
Il costo dei pazienti è sostenuto dalle famiglie, che pagano quasi 100 euro al giorno, ma si sta pensando di inserirlo nel circuito dell’assistenza socio-sanitaria della regione Lombardia per permettere l’accesso anche a chi ha soglie di reddito minori.
Infine, una curiosità: tutto il centro è assolutamente attento al riciclo e al non-spreco di energia: le casette sono costruite con piccoli computerini che monitorano temperature e fabbisogno di energia, in modo da ridurre gli sprechi energetici.
IL PAESE RITROVATO DOCU-REALITY
La realtà brianzola è un centro di eccellenza così unico che hanno deciso di raccontare la realtà del Paese Ritrovato con un vero e proprio docu-reality girato prima del lockdown. In “La memoria delle emozioni”, di Marco Falorni e Andrea Frassoni, si racconta la vita all’interno del villaggio, lasciando che la telecamera riprenda e racconti momenti quotidiani della vita degli ospiti e delle ospiti: da Sante, che è stato un cuoco e che in cucina prepara lo strudel, ad Annamaria, che svela aneddoti della sua vita davanti lo specchio del parrucchiere.
Gli operatori sono entrati in punta di piedi nelle emozioni più profonde di chi è affetto da patologie che colpiscono la memoria e i ricordi, vivendo dieci giorni in struttura affiancati da un team di psicologi e dagli operatori e le operatrici del villaggio. Da tutto il girato, gli autori stanno pensando a tirare fuori una vera e propria serie, che parli di tutto, soprattutto della vita prima della malattia: delle famiglie lasciate a casa, dei figli e delle figlie, di ciò che ci si ricorda più vividamente. Come i luoghi dell’infanzia. «C’è chi ci ha rivelato di aver ritrovato il proprio padre – svelano gli autori in un’intervista al Corriere della Sera- perché i ritmi di vita del villaggio sono riusciti a togliergli la rabbia della malattia. Ed è stato emozionante seguire Angelina e i suoi figli uscire dal Paese per tornare a Milano, su un tram, nei luoghi della propria infanzia».
(Immagini tratte dal sito MBnews)
Immagine di copertina tratta da www.cooplameridiana.it
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