Il reddito delle famiglie fa un balzo all’indietro di 10 anni

Non torniamo al Medioevo, al massimo torniamo al 2005 -2006, ha detto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti a proposito della marcia indietro del Pil prevista per quest’anno. Il che e’ tecnicamente vero, anche se forse, con la continua revisione al ribasso delle stime (c’e’ chi vede il -3%, ma si tratta di congetture), stiamo piu’ […]

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Non torniamo al Medioevo, al massimo torniamo al 2005 -2006, ha detto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti a proposito della marcia indietro del Pil prevista per quest’anno. Il che e’ tecnicamente vero, anche se forse, con la continua revisione al ribasso delle stime (c’e’ chi vede il -3%, ma si tratta di congetture), stiamo piu’ verso il 2004-2005 che il 2005-2006.

Tuttavia, quello che conta per la “sensazione” di ricchezza o di poverta’ delle famiglie italiane e’ il Pil pro-capite, e qui il confronto si fa piu’ pesante. Il livello del 2009 torna a quello di dieci anni fa. L’italiano medio, insomma, fa un indesiderato “bagno di gioventu'”: si ritrova con i livelli di reddito del 1999, i quali, anche se superiori (grazie al cielo!) a quelli del Medioevo, non sono quelli che si aspettava quando, due lustri or sono, guardava al futuro.

Aspettative deluse
In effetti, quel che ha caratterizzato l’economia del dopoguerra – un “pianeta diverso” rispetto al passato – e’ quella che e’ stata chiamata la “rivoluzione delle aspettative crescenti”. Ci siamo talmente abituati a questa rivoluzione che non la consideriamo nemmeno piu’ tale.

Ma non era cosi’ nel passato. Traguardando l’andamento dell’economia e del benessere dei popoli nella tela dei secoli, vediamo una linea essenzialmente piatta per millenni, che comincia a innalzarsi con la rivoluzione industriale del tardo Settecento, va avanti a scatti, strappi e ritirate fino alla Seconda guerra mondiale, e finalmente s’invola, dritta e sicura, a partire dalla seconda meta’ del Novecento, un periodo felicemente unico nella storia dell’umanita’. Ed e’ in quest’ultimo periodo che e’ iniziata quella rivoluzione, per cui consideriamo normale e quasi dovuto il fatto che ogni anno dobbiamo star meglio dell’anno prima, e se non stiamo meglio stiamo male, protestiamo, cambiamo Governo ed esigiamo che la crescita riprenda.

Si comprende quindi come sia triste il fatto che un giorno ci svegliamo e ci accorgiamo che siamo tornati agli standard di vita di dieci anni fa. La “rivoluzione della aspettative crescenti” e’ stata soffocata dalle bieche vicende della crisi.

E quello che succede in Italia succede anche negli altri Paesi: in America le vendite di auto crollano a livelli che non si vedevano da un quarto di secolo; l’inflazione e’ al livello piu’ basso da mezzo secolo (e purtroppo la bassa inflazione e’ dovuta a un’economia debole); e i nuovi sussidi di disoccupazione come i nuovi cantieri per costruzione di case sono ai livelli piu’ bassi da quando sono iniziate le rilevazioni.

Come si traduce tutto questo nella vita di tutti i giorni? Qui si apre un altro problema, perche’ gli effetti di questi “passi del gambero” in un sistema economico non sono omogenei. Si apre un grosso divario fra quelli che quasi non si accorgono della crisi (coloro che hanno un posto di lavoro o un altro reddito fisso come la pensione, e gli aumenti mantengono almeno il passo con l’inflazione) e coloro che sono in prima fila nel ricevere lo “schiaffo” della crisi: precari il cui posto di lavoro non e’ rinnovato, giovani che non riescono a trovare un impiego, fabbriche chiuse, fallimenti e altre disgrazie.

Impatto differenziato
A differenza della pioggia che “cade sui giusti e sugli ingiusti”, la crisi e’ molto diseguale nei suoi effetti. Ed e’ importante che la politica economica di contrasto alla crisi, pur limitata come e’ in Italia, tenga conto di questa diversita’ negli effetti e si concentri nel sostegno a coloro che ne sono maggiormente colpiti.

Tuttavia, come la pioggia, la crisi un giorno o l’altro finira’. E, come suggeriscono i dati dell’andamento del Pil pro-capite, in volume, dall’Unita’ d’Italia al 2009, la crescita riprendera’: e’ troppo forte lo stacco fra il dopoguerra e i novant’anni che lo hanno preceduto per non capire che sono state messe all’opera possenti forze strutturali.

Queste forze – apertura dei mercati, rafforzamento delle istituzioni, accettazione crescente dell’economia di mercato, innovazione tecnologica e manageriale, livelli crescenti di istruzione… – covano sotto le ceneri della crisi e riprenderanno forza una volta riparato il sistema finanziario e tornata la fiducia. Auguri.

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