Perché si sbiancano i coralli

Un effetto della crisi climatica. Nel 2023 il 77 per cento delle barriere coralline ha avuto uno stress termico in grado di provocare un processo di sbiancamento

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Il bianco, per le barriere coralline, è il colore della morte. Indica un processo di deterioramento che può diventare irreversibile: quando la temperatura dell’acqua diventa troppo alta, allora i coralli espellono le alghe con le quali vivono e diventano bianchi. Se il fenomeno non è transitorio, allora i coralli possono morire. Ed è l’allarme che è stato lanciato nella primavera del 2022 nella Grande barriera corallina, al largo del nordest dell’Australia, una delle più belle del mondo. Si sta appunto sbiancando. Dall’allarme del 2022 le cose sono ulteriormente peggiorate e il 54 per cento delle barriere coralline, secondo l’Agenzia statunitense per gli oceani e l’atmosfera (Noaa), sono già state colpite dal fenomeno dello sbiancamento. Lo sbiancamento tra il 2023 e il 2024 è il quarto dal 1998, e il secondo negli ultimi dieci anni. Le zone più colpite sono state i Caraibi, la costa brasiliana, la costa pacifica dal Messico alla Colombia, la barriera corallina australiana, il Pacifico meridionale e l’Oceano indiano. Sempre secondo la Noaa, nel corso del 2023 il 77 per cento delle barriere coralline è stato colpito da uno stress termico capace di provocare il processo di sbiancamento. E lo stress, a sua volta, è legato all’innalzamento delle temperature e alla crisi climatica.

Lo sbiancamento dei coralli indica la loro reazione legata ad alcune forme di stress che mettono a rischio l’ecosistema, innanzitutto l’aumento delle temperature. Dal 1998 ci sono stati sei episodi di sbiancamento dei coralli, ma la loro progressione si è andata molto intensificando tra il 2017 e il 2022, e questo preoccupa gli scienziati. Le barriere coralline, una volta sbiancate, se riescono a non morire, hanno bisogno di un certo periodo di tempo per riprendersi dallo stress: ma se le ondate di caldo marine diventano più frequenti, allora le possibilità di non farcela aumentano. Un esempio: in seguito al primo sbiancamento dei coralli, causato dal Nino (1998), oltre il 90 per cento del genere del corallo Acropora fu distrutto in diverse aree dell’Oceano Indiano.

Il fenomeno dei coralli sbiancati in Italia è molto visibile a Trieste,dove nell’area protetta di miramare il 70 per cento delle colonie di coralli censite sono risultate sbiancate totalmente o parzialmente. Un fenomeno che mette a rischio la specie corallina della zona, la madrepora corallina. E lo sbiancamento è il risultato della morte delle alghe, per il mare troppo caldo, che vivono in simbiosi con i coralli e in qualche modo ne causano il colore, come il giallo-arancio della madrepora.

Ma come avviene, concretamente, lo sbiancamento dei coralli? Sotto la pressione degli stress termici, ovvero l’aumento incontrollato delle temperature, i coralli perdono le alghe unicellulari che vivono nei loro tessuti e danno brillantezza ai loro colori. Oltre al colore, le alghe forniscono ai coralli quasi tutto il loro fabbisogno energetico. E qui nasce il problema della sopravvivenza. Se le temperature tornano regolari in tempi ragionevoli, prima che i coralli abbiano esaurito le loro scorte, allora la loro simbiosi si ricostruisce. Ma se le temperature restano troppo alte a lungo, allora il corallo non ce la fa a resistere e muore. Con il fenomeno dello sbiancamento del 2016, il 90 per cento dei coralli della Grande barriera australiana ha perso il colore, e il 22 per cento non ce l’ha fatta a riprendersi e sono morti. Complessivamente, si calcola che negli ultimi trent’anni le barriere coralline nel mondo si sono dimezzate.

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La perdita di colore dei coralli, causata dal riscaldamento globale, non produce gli stessi effetti su tutti i tipi di coralli. Alcuni, di grandi dimensioni e più solidi, come il Porites lobata, resistono meglio e sopravvivono. Altri, più piccoli e più fragili, come l’Acropora, rischiano lo sterminio, come è avvenuto nell’Oceano Indiano nel 1998. Un altro tipo di coralli che sembrano resistere bene all’aumento delle temperature e allo stress climatico sono gli Antozoi nell’Oceano Pacifico orientale. Come mai? La risposta, molto utile per gli studiosi, arriva da uno studio pubblicato su Global Change Biology. In particolare, questa specie di coralli ha una velocità di riproduzione molto alta e vive in simbiosi con le alghe che resistono ad alte temperature: da qui una reciproca protezione. Poi ci sarebbero alcune condizioni climatiche, come le nuvole basse e la presenza di correnti di acqua fredda che mitigherebbero gli effetti devastanti dell’aumento delle temperature rendendo gli Antozoi più forti.

Le ricerche sulle specie di coralli più resistenti al caldo, come il miglioramento della qualità dell’acqua e l’eliminazione delle stelle corona di spine, che si nutrono di coralli, sono tutti tentativi che vanno nella stessa direzione: proteggere le barriere coralline dal fenomeno dello sbiancamento. Un gruppo di ricercatori dell’università di Miami, per esempio, ha sottoposto alcune specie di coralli a una serie di stress termici, per capire quali possono essere i modi per renderli più resistenti. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Coral Reef e sembrano incoraggianti: si tratta di allenare i coralli alla resistenza, un sistema che ha bisogno di soldi e di tempo. Il governo australiano, da solo, ha stanziato un miliardo di dollari da spendere nei prossimi nove anni per proteggere le sue barriere coralline, e questo rende l’idea degli impegni finanziari necessari. Ma soldi e ricerca comunque non basteranno a salvare i coralli dallo sbiancamento, se non si riesce allo stesso tempo a fare qualcosa di concreto e di strutturale per ridurre il riscaldamento globale.

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