Doveva essere l’anno della semplificazione fiscale, anche per aiutare i cittadini-contribuenti colpiti dalla batosta del Covid-19. E invece le scadenze di agosto, con i vari pagamenti, sono persino aumentate: 246 in appena 30 giorni. Uno spreco assurdo di tempo, denaro e produttività (per le imprese e per il Paese), con l’Italia che si vede piazzata nella classifica della Banca Mondiale al posto numero 128 su 190 Paesi per peso e incidenza degli adempimenti fiscali.
SCADENZE FISCALI 2020
Paghiamo una quantità enorme di tasse, con una pressione indecente: lo sappiamo. Gli evasori, che non sono certo una minoranza, danneggiano tutti i cittadini, in quanto scatta il semplice binomio “molte tasse pagate da pochi”: e anche questo è ben documentato. Ma c’è uno spreco enorme, sottotraccia, meno conosciuto: il tempo, davvero infinito, che serve per adempiere a tutte le scadenze fiscali. Tempo e denaro, dunque doppio spreco. Con numeri davvero fuori dal mondo e dall’Europa innanzitutto, se ci confrontiamo con gli altri paesi-soci dell’Unione.
La valanga di scadenze fiscali e previdenziali che parte verso maggio e arriva fino alla fine dell’anno rappresenta un grande spreco di tempo e un significativo costo per i cittadini, le imprese e il sistema Paese. Partiamo dal tempo. Ciascun italiano impegna 334 ore l’anno, quasi un’ora al giorno, per adempiere agli obblighi fiscali e contributivi. È una cifra record rispetto ai dati degli altri paesi europei: 110 ore in Gran Bretagna, 132 in Francia, 196 in Germania e 213 in Spagna. Lo scarto incide in modo pesante su quella competitività delle imprese della quale tanto si parla nei convegni e nelle tavole rotonde senza mai riuscire a sbloccarla. Il risultato è che il costo della burocrazia vale il 24 per cento delle uscite delle piccole e medie aziende, secondo i calcoli del Censis, e circa il 4,5 per cento del Pil nazionale.
SPRECO DI TEMPO PER PAGARE LE TASSE
Un vero fardello. Al quale non si sottrae alcun settore produttivo, se si pensa, per esempio, che anche in agricoltura la burocrazia costa 2 miliardi di euro l’anno e le aziende vinicole devono attraversare le montagne russe dei controlli di 21 enti, con tanto di timbri, firme e permessi.
I tempi della burocrazia ci affliggono ovunque, quasi ci perseguitano. Quando finiamo in un ospedale dobbiamo sapere che per un controllo cardiologico completo dobbiamo aspettare un anno, e se ci tocca affrontare un giudizio civile non ci resta che il segno della croce: l’Italia è al 156esimo posto nella classifica mondiale per i tempi della giustizia civile, e pochi giorni fa abbiamo saputo che solo nel tribunale di Palermo sono pendenti 132mila cause.
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TEMPO PER PAGARE LE TASSE
Il ministro Renato Brunetta, con uno dei primi provvedimenti approvati in Consiglio dei ministri, tentò (tra il 2008 e il 2011) di dare una scossa a questo sistema che accumula costi, sprechi e inefficienze. Così previde, per legge, che tutte le amministrazioni pubbliche dovessero predisporre un regolamento con l’applicazione dei tempi di conclusione delle pratiche inferiori a 90 giorni. Ma la burocrazia, e il suo esercito di capi, capetti e manovalanza, è come un muro di gomma, e ancora oggi sbattiamo la testa contro una montagna di pratiche da sbrigare. Con tempi biblici. Con metodi arcaici. Con scarso rispetto per la persona, ovvero il cittadino. Con password che invece di semplificare, per il loro enorme ammontare, complicano la vita. E con tanti cari saluti per tutte le belle statistiche e parole sulla informatizzazione dei servizi e sulle mirabile (presunte più che reali) della tecnologia applicata alla macchina della pubblica amministrazione. Per sbrigare una pratica, in Europa, in media, ogni cittadino deve mettere nel conto, salatissimo, del costo in termini di tempo, e quindi di denaro, oltre che di stress e di biblica sopportazione, qualcosa come 173 ore all’anno. In Italia questo numero vola a 269 ore. La distanza sta aumentando, e si avvicina paurosamente al doppio. Ciò significa che negli sprechi degli italiani, ne abbiamo uno in continua crescita: il tempo necessario per avere un rapporto con la pubblica amministrazione. Un rapporto civile, sano, e non un incubo.
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