Perché un vigile a Cosenza costa il doppio rispetto a un pizzardone di Milano? Mistero. E perché in provincia di Pesaro il costo della polizia locale si traduce in una spesa pari alla metà rispetto a quella di Piacenza? Altro mistero. Più va avanti il lavoro di indagine sui costi della spesa pubblica in periferia, con i confronti tra i diversi standard applicati, e più viene fuori un’amara verità: il federalismo, che ha rappresentato l’innovazione istituzionale più sbandierata a turno da tutti i partiti, in Italia si è tradotto in spese, talvolta folli e opache, comunque sempre fuori controllo.
È come se ciascuna tribù locale, nel nome dell’autononomia, si sentisse autorizzata a fare come meglio crede. Con enormi sprechi che, alla fine, finiscono sempre sul conto delle stesse persone, i cittadini, a Roma come in ogni altra parte d’Italia. Adesso che il governo ha finalmente deciso di approvare dei costi standard, in base ai quali verranno assegnate le risorse alle amministrazioni locali nel prossimo anno, sta venendo fuori il bizzarro puzzle di una spesa fatta di sprechi a macchia di leopardo. In tutti i settori. E c’è da augurarsi che il timone del rigore sia tenuto stretto dal governo, perchè questa interpretazione del federalismo fa solo rimpiangere lo Stato centralizzato. E lascia senza risposta la domanda da cui siamo partiti: perché anche un vigile urbano, che ha uno stipendio fissato da un contratto nazionale, ha un costo a scaletta, diverso da una città all’altra? Probabilmente qualcuno bara.
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