Ilva a Taranto: come salvare la salute e l’acciaio

La Corte Costituzionale ha giudicato legittima la legge «salva Ilva» , sciogliendo così a favore del governo il conflitto tra poteri dello Stato sollevato dal Tribunale e dal gip della Procura di Taranto. Le obiezioni della magistratura pugliese sono state considerate in parte inammissibili e in parte infondate, e dunque il decreto del governo del […]

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La Corte Costituzionale ha giudicato legittima la legge «salva Ilva» , sciogliendo così a favore del governo il conflitto tra poteri dello Stato sollevato dal Tribunale e dal gip della Procura di Taranto. Le obiezioni della magistratura pugliese sono state considerate in parte inammissibili e in parte infondate, e dunque il decreto del governo del dicembre scorso, con il quale si autorizzava la produzione e la vendita dello stabilimento siderurgico, può essere pienamente applicato. Sul piano pratico, una volta riconosciuto il principio per il quale la potestà del governo in materia di politica industriale non è in conflitto con le indagini della magistratura in corso a Taranto, da oggi all’Ilva la vita della fabbrica può riprendere a pieno regime e vengono dissequestrate le tonnellate di prodotto bloccate dagli inquirenti come «corpo del reato».

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Una pagina si è chiusa, e con il sigillo della Corte il futuro di un impianto, che da solo copre il 40 per cento del fabbisogno dell’industria nazionale,  appare meno opaco. Fermo restando che le ragioni economiche e occupazionali non potranno mai calpestare l’inviolabile diritto alla salute dei lavoratori e dei cittadini di Taranto, mentre la strategia per risanare e salvare lo stabilimento siderurgico è rimasta sospesa in attesa del verdetto dei giudici costituzionali, il quadro dell’intero settore in Europa si è molto deteriorato. E sotto questo punto di vista la partita per Taranto, per il Mezzogiorno e per l’Italia inizia oggi.

I numeri del declino europeo nel settore dell’acciaio sono impressionanti. La produzione industriale nei paesi dell’Unione, dal 2007, è scesa del 20 per cento, con un crollo del 5 per cento soltanto nell’ultimo anno.  Un precipizio, favorito dalla caduta verticale della domanda interna con una recessione in piena evoluzione e da una concorrenza  sfrenata e sleale sul mercato globale dell’acciaio. Il boccino del settore è finito nelle mani dei paesi del Bric (Brasile, Russia, India e Cina) che producono a pieno regime, sottraendo quote di mercato agli europei, grazie a tre condizioni di particolare favore.  Innanzitutto i dazi sulle importazioni che questi paesi hanno introdotto per tagliare le gambe all’industria siderurgica europea. In secondo luogo, la concorrenza si gioca su costi della produzione molto più bassi: non solo la manodopera, spesso sfruttata  con bassi salari e senza coperture assicurative, ma anche i rifornimenti energetici.  Stiamo parlando di un rapporto di 1 a 3, favore dei paesi del Bric, in termini di differenziale. Terzo vantaggio: in Europa le regole ambientali, specie quelle relative ai tetti delle emissioni di Co2 sono, giustamente, vincolanti; nei paesi (ex) emergenti sono volontarie.

La competizione, in queste condizioni, è persa in partenza per gli europei. E qui si apre il secondo fronte, che chiama in causa Bruxelles, dove da mesi si discute sulla necessità di interventi  dell’Unione a sostegno del settore siderurgico. Si discute e si litiga, perché come al solito quando si tratta di dossier pesanti per gli interessi in gioco, l’Europa non c’è, e ciascun Paese gioca a difesa dei propri interessi nazionali. Aiuti diretti alla produzione siderurgica europea non li vogliono, per motivi diversi,  una buona parte dei nostri soci. La Gran Bretagna, poco interessata al manifatturiero, difende le regole del libero mercato e considera una violazione della concorrenza qualsiasi forma di sostegno all’industria.  Anche la Germania è molto fredda, ma per motivi opposti: come nell’auto, anche nella siderurgia l’industria tedesca riesce a reggere sul mercato globale grazie alla straordinaria forza della sua produttività, e dunque non ha alcun interesse a sostenere i concorrenti europei. Infine, hanno il loro peso anche i veti di Paesi come la Finlandia, la Svezia, la Danimarca e l’Olanda, che considerano il settore siderurgico come il male assoluto per i danni che provoca all’ambiente.

A sostegno degli incentivi restano, in prima linea, i francesi e gli italiani, e possiamo solo immaginare quale braccio di ferro a oltranza si consumerà sul futuro dell’industria siderurgica in Europa nelle prossime settimane.  Un maxi-piano europeo è stato promesso entro il mese di giugno, vedremo se e come verrà alla luce. Per l’Italia, e in particolare per il Mezzogiorno, la partita siderurgica è decisiva, e Taranto rappresenta uno snodo essenziale in questo scacchiere: speriamo che, dopo la sentenza della Corte, si recuperi il tempo perduto e si riesca a difendere in tutte le sedi un settore strategico dell’economia nazionale.

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