C’è una fuga dal posto fisso. Accelerata dopo la pandemia: in Italia, soltanto nei primi nove mesi del 2021 le dimissioni volontarie rispetto all’anno precedente sono aumentate del 30 per cento. Lasciano la sicurezza del lavoro dipendente innanzitutto i giovani, demotivati da compensi che non consentono di fare alcun progetto di vita. E pronti a lanciarsi in una sfida, magari cavalcando la tecnologia e puntando all’affollato mercato delle start up. Quando si parla di redditi insoddisfacenti, nel nostro Paese il riferimento corre immediatamente ai pensionati, ma la caduta degli stipendi, ininterrotta ormai da decenni, è il segno di come ormai si sia bloccato l’ascensore sociale.
Indice degli argomenti
STIPENDI BASSI IN ITALIA
I parametri per misurare gli stipendi sono diversi. Ma da qualsiasi angolazione li vogliamo prendere, la conclusione è sempre la stessa: sono troppo bassi per garantire a una giovane coppia di fare un progetto di vita, oppure a un single di immaginare una vita da ceto medio benestante come è stata quella dei suoi genitori. Da trent’anni un tarlo sta divorando i salari degli italiani, e la politica, affaccendata in tutt’altre faccende, sembra ignorarlo. Poi arriva la statistica dell’Ocse e si scopre la verità. Gli italiani, a parità di lavoro e di gradi gerarchici, guadagnano meno, molto meno dei colleghi tedeschi, francesi, spagnoli.
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QUANTO GUADAGNANO GLI ITALIANI?
PERCHÈ GLI ITALIANI GUADAGNANO COSÌ POCO?
L’Ocse calcola che, a parità di potere d’acquisto, il salario medio di un lavoratore italiano dal 1990 a oggi è sceso del 2,9 per cento. Nello stesso arco di tempo, in Francia e in Germania i salari medi sono cresciuti più del 30 per cento e negli Stati Uniti di quasi il 40 per cento. In una città come Milano, dove gli stipendi sono tra i più alti d’Italia con una media di 35 mila euro all’anno, ogni lavoratore dal 1990 ha perso in busta paga qualcosa come 1.000 euro. La sua ricchezza è diminuita, invece di aumentare. Nel frattempo i prezzi per acquistare o affittare una casa sono triplicati, e anche l’aumento della spesa è andato ben oltre il tasso annuo di inflazione.
PERDITA DEL POTERE D’ACQUISTO
La perdita del potere di acquisto è stata devastante per i lavoratori italiani. E si è combinata con una caduta verticale della produttività che ha penalizzato innanzitutto le famiglie. In questo caso i fattori di decrescita sono diversi e coinvolgono anche il peso della burocrazia o la riduzione degli investimenti produttivi, pubblici e privati. E anche un fattore decisivo che abbassa la produttività in Italia: lo scarso utilizzo delle donne sul lavoro. In Italia hanno un impiego appena 49 donne su 100 in età da lavoro, rispetto alle 71 della Germania e alle 64 della Francia. Sprechiamo un patrimonio umano e il conto lo paghiamo tutti.
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LAVORATORI CHE GUADAGNANO SEMPRE MENO
I lavoratori guadagnano sempre meno, ma questo problema non sembra interessare più di tanto chi potrebbe incidere per invertire la rotta. Da decenni, proprio in concomitanza della caduta verticale del potere d’acquisto dei salari, nessuno si occupa più di quella che una volta si chiamava «la politica dei redditi». Interventi a difesa, appunto, del potere d’acquisto dello stipendio. I sindacati scattano come delle belve appena si paventa, anche lontanamente, il rischio di un intervento sulle pensioni. E hanno ragione: la loro vita dipende dai pensionati, che formano la maggioranza degli iscritti, Ma intanto la voce dei lavoratori dipendenti diventa sempre più flebile. Gli unici strumenti di difesa che i lavoratori italiani sono riusciti a mettere in campo, riguardano, come al solito, la loro straordinaria capacità di adattamento. Si difendono attingendo dai risparmi: ma fino a quando potranno farlo? Oppure mettendo a reddito qualcosa del loro patrimonio, per esempio una seconda casa. Poi c’è il lavoro nero, o sommerso che dir si voglia, che dilaga anche in materia di premi che gli imprenditori sono ben contenti di dare sotto questa forma. E infine il doppio lavoro in famiglia, diventato durissimo in tempi di smart working, quando intanto i figli stavano a casa e avevano bisogno di attenzioni non previste.
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CHE COSA FARE PER ALZARE GLI STIPENDI
Una conferma di quanto ormai gli stipendi e i salari dei lavoratori trovino poco spazio nella rappresentanza, anche politica, arriva dai dati di una recentissima ricerca dell’Ipsos per conto del Partito democratico. Gli eredi del Partito comunista, che ha sempre protetto e tutelato il lavoro dipendente mettendo l’aumento degli stipendi ai primi posti delle sue battaglie, oggi rappresentano soltanto il 9,1 per cento degli operai italiani. Al contrario, il 31,9 per cento dei pensionati vota per il Pd. E la rappresentanza degli operai è fortissima nel centrodestra dove arrivano i voti del 19,8 per cento degli operai a favore di Forza Italia e del 30,9 per cento a favore della Lega. Che cosa fare per alzare gli stipendi? Ci sono tre azioni possibili, tutte di natura politica. La prima: ridurre il cuneo fiscale, la differenza tra i soldi pagati dall’imprenditore e quelli incassati dal lavoratore (in pratica le tasse sugli stipendi), a favore dei dipendenti. Riprendere a tessere una vera politica dei redditi, che riproponga sia il tema dell’aumento degli stipendi, sia l’equità salariale tra uomo e donna e sia il pagamento minimo per un’ora di lavoro. Infine, con ragionevolezza e senza rincorrere slogan facili e scorciatoie impossibili, bisognerebbe ragionare di più sulla possibilità di Lavorare tutti, lavorare meno. È uno slogan, appunto, dietro il quale però c’è una precisa scelta politica che, se fosse possibile realizzare, porterebbe a un aumento di fatto dell’occupazione e degli stipendi.
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