Incidente Irpinia: ecco le autostrade della morte

Una tragedia che ha una sua genesi nell’assurdo ritardo delle rete infrastrutturale dei trasporti nel Mezzogiorno

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La strage dei 39 pellegrini morti nel più grave incidente stradale mai verificatosi in Italia, non può chiudersi con le immagini strazianti di un funerale celebrato nella disperazione popolare. Ieri è stato il giorno del lutto, da oggi inizia il conto alla rovescia per fare luce su un disastro che non è soltanto la somma di tragiche fatalità. C’è una verità giudiziaria che, auguriamoci, dovrà venire fuori presto, senza giudizi sommari, dalle indagini in corso da parte degli inquirenti. Soltanto così si chiariranno i tre punti più oscuri dell’incidente: le condizioni del pullman precipitato dal viadotto, a partire dalla revisione fatta appena qualche mese fa; le responsabilità dell’autista, con il suo percorso di guida al momento incomprensibile; la sicurezza del guard rail divelto dall’autobus e in generale di quel maledetto tratto autostradale.

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Ma c’è una verità che già adesso possiamo scrivere, e viene prima delle ricostruzioni e degli accertamenti: la tragedia in Irpinia ha una sua genesi nell’assurdo ritardo delle rete infrastrutturale dei trasporti nel Mezzogiorno. La mobilità nelle regioni del Sud, e in particolare tra le grandi città come nel caso di Napoli e Bari, è rimasta inchiodata alle opere degli anni Sessanta e Settanta. Più di mezzo secolo fa. Da allora il traffico è aumentato in modo spaventoso, ovunque nel mondo è cresciuta l’offerta di trasporti alternativi all’auto, agli autobus, ai camion, mentre nelle regioni meridionali non si è fatto nulla, se non le aperture di cantieri infiniti che hanno divorato denaro pubblico e ingrassato qualche clan della malavita senza lasciare alcuna traccia sul territorio.

Le due grandi arterie del traffico su gomma, la Napoli-Bari e la Salerno-Reggio Calabria, sono diventate due autostrade a rischio, ad altissimo rischio, come dimostrano per esempio le statistiche sugli incidenti avvenuti proprio dove è precipitato l’autobus dei pellegrini. Poca manutenzione, e tanta insicurezza per i viaggiatori. Intanto, e questa è la cosa più grave, sono finiti nei cassetti i diversi progetti per infrastrutture alternative all’autostrada, come la linea ferroviaria ad alta velocità tra Napoli e Bari. Spostarsi da Napoli, verso Sud, significa essere costretti, di fatto condannati, a prendere l’automobile o l’autobus, e perfino i tempi di collegamento all’interno delle regioni meridionali, per chi volesse avventurarsi in treno, sono biblici, praticamente quelli del regno borbonico quando furono costruite le prime rotaie.

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Qualche giorno fa, mia figlia e un gruppo di amiche sono partite da Roma dirette in Salento. Volevano andare in treno, con più tranquillità per tutti, ma è stato impossibile: e sono arrivate a destinazione dopo 10 ore di viaggio in auto, compresa la micidiale autostrada Napoli-Bari.
Ricordare questo ritardo, mentre abbiamo ancora negli occhi le bare delle 39 vittime uccise in un giorno di festa, non è l’astratto rimando ai problemi del sistema Italia: al contrario, è uno sguardo che tutti, con onestà, dovremmo allungare oltre il luogo della tragedia. La rete dei trasporti nel Mezzogiorno non è degna di un Paese civile e moderno, e il gesto più cinico che possiamo aspettarci dai nostri governanti è quello di archiviare l’incidente con i rituali messaggi di partecipazione al lutto di famiglie distrutte e decimate. Servirebbero fatti, anche un solo segnale concreto, per onorare la memoria dei morti e per non abbandonare i vivi al loro destino.

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