di ALBERTO CUSTODERO, ENRICO DEL MERCATO
ROMA – Di alcuni non è rimasto che il simbolo, assemblee di ex che vengono convocate di tanto in tanto e, forse, il ricordo di qualche elettore nostalgico. Altri, invece, hanno sedi, strutture, impiegati ma da anni non hanno nessun rappresentante in parlamento. Eppure, i "partiti fantasma" continuano ad incassare soldi dallo Stato. L’ultima rata, relativa ai rimborsi per le elezioni regionali del 2007 in Molise, arriverà prima della fine di quest’anno. E così, la cifra incamerata dai partiti che non ci sono più, toccherà la vertiginosa quota di 500 milioni di euro nell’arco del quinquennio 2006-2011. Spicciolo più, spicciolo meno.
Per intendersi, è una somma pari allo stanziamento annuo del governo per Roma capitale, quella che è finita in questi anni nella pancia di sigle che si supponevano scomparse dalla scena della politica, come Forza Italia, Alleanza nazionale, Democratici di Sinistra, Margherita, oppure di partiti che gli elettori hanno cancellato dal parlamento e che sono stati smontati e rimontati da scissioni e nuove aggregazioni come Rifondazione comunista, i Verdi, perfino l’Udeur di Mastella o un partito personale come "Nuova Sicilia", il cui dominus è Bartolo Pellegrino – un ex deputato dell’assemblea regionale siciliana recentemente assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa – che fino allo scorso anno ha percepito circa centomila euro di rimborso elettorale.
Nulla, se confrontato a quanto ha potuto iscrivere nei propri bilanci il più ricco dei "partiti fantasma", Forza Italia. Quella che fu la creatura di Silvio Berlusconi, nata nel 1994 per accompagnare la discesa in campo del Cavaliere e sacrificata nel 2007 sull’altare del bipartitismo per fare posto al Pdl, ha continuato ad incamerare i rimborsi elettorali fino ad arrivare, nel 2010, alla cifra monstre di 96 milioni di euro. Più sotto, in questa classifica, quelli che furono i Democratici di sinistra che hanno potuto iscrivere in bilancio 74 milioni di euro e spiccioli. Soldi che – per ammissione del tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti – sono stati rapidamente pignorati dalle banche e adoperati per chiudere la partita dei debiti ereditata dal vecchio Pci.
Alla Margherita, altro partito formalmente cancellato, è andata meglio. I 42 milioni di euro di rimborsi incassati, malgrado la scomparsa dalla scena politica, sono tutti lì. E, anzi, intorno a quella eredità sta per accendersi una disputa alla quale partecipano pure parlamentari che, nel frattempo, hanno preso differenti direzioni, accasandosi in altri partiti o inaugurandone di nuovi. Ma come è stato possibile che partiti scomparsi dalla scena o bocciati dagli elettori abbiano continuato ad incassare soldi pubblici a titolo di rimborso elettorale? Quanto hanno pesato i rimborsi ai "partiti fantasma" sulle tasche dei cittadini? E, soprattutto, che fine hanno fatto quei soldi?
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