La Casta va di moda. Alle prossime elezioni amministrative verrà battuto ogni record di nomi e liste: 20mila candidature, soltanto nei 30 capoluoghi di provincia, e 629 partiti nei comuni capoluoghi. A Torino le liste sono 37, a Napoli 31, a Milano 29. Un boom. Nonostante il taglio delle poltrone di consiglieri, visto che negli stessi 30 comuni capoluoghi si scenderà da 1226 seggi a 1032, 194 in meno.
Come si spiega questa proliferazione di candidature in un momento nel quale la politica perde consensi e partecipazione da parte dell’opinione pubblica? C’è in primo luogo, sicuramente, un effetto proliferazione legato ai meccanismi elettorali e alla crisi dei partiti, che spinge le forze politiche a dividersi e spacchettarsi: questo favorisce la nascita di nuove, piccole formazioni, sia a livello nazionale sia a livello locale. Ma c’è un secondo fenomeno, più profondo, che si nasconde dietro la passione per il seggio: la politica, visti anche i suoi costi e la pioggia di gratifiche che distribuisce, viene sempre più considerata come un’opportunità di lavoro, di carriera. Di soldi e di potere. Mentre nella Prima Repubblica, infatti, la politica, al Nord come al Sud, attraverso il filtro e la selezione dei partiti rappresentava anche un ascensore sociale grazie al quale un semplice professore di liceo poteva diventare ministro e perfino capo del governo, adesso più che al riscatto sociale si punta a una concreta sistemazione. Scendere in campo alle elezioni, sotto qualsiasi insegna, è come partecipare a una riffa televisiva per un telequiz o per un reality show. Magari ti va bene, e hai svoltato.
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