di Ernesto Galli della Loggia
Che cosa penseranno in queste ore, leggendo nelle cronache delle belle imprese dell’onorevole Milanese, i suoi elettori? E che cosa avranno pensato ieri o l’altrieri gli elettori dei vari Cosentino, Papa, Brancher, Romano, e di non pochi altri senatori e deputati, a vario titolo indagati, rinviati a giudizio, condannati da un tribunale? La risposta è semplice: non hanno pensato niente. Per una ragione altrettanto semplice: perché quegli elettori in realtà non esistono. Grazie alla legge elettorale in vigore, infatti, si è eletti alla Camera o al Senato per il puro ed esclusivo fatto di occupare un determinato posto nella lista presentata da un partito, non per altro (così come più o meno analogamente la consigliera regionale Minetti non è stata eletta per aver ricevuto dei voti, ma per la semplice volontà espressa dal candidato presidente Formigoni di averla nel suo «listino» : l’elezione di lui comportando automaticamente quella di lei). In Italia non si eleggono dei rappresentanti, com’è noto: si vota un partito. Ci pensa questo, preliminarmente, a indicare nomi e cognomi. Ne deriva che se si vuole occupare un posto di parlamentare ciò che conta è una cosa sola: guadagnarsi il favore di chi sceglie i nomi dei candidati da mettere nella lista di partito, e ottenere un buon posto nella medesima. Cioè, in pratica, l’unica cosa che conta è ingraziarsi ad ogni costo chi comanda: vale a dire il capo o i capi del partito. E naturalmente non smettere di farlo neppure a elezione avvenuta, dal momento che molto comprensibilmente ogni eletto vuole sempre essere rieletto. Il risultato è che in specie dove la gerarchia è ferrea — leggi nel Pdl— il semplice deputato o senatore diventa un’entità del tutto priva di ruolo ed eterodiretta: non ha da fare altro che votare come gli viene ordinato, ogni suo contatto con la base è sostanzialmente inutile, non ha radici in niente, non ha alcun elettorato di riferimento, non deve rispondere a nessuno se non a chi lo ha fatto eleggere. Diviene in tal modo inevitabile — in fondo anche ragionevole — che il semplice deputato o senatore si dedichi allora a quelle attività diciamo così collaterali che possono procurargli direttamente un utile personale, ovvero renderlo «interessante» agli occhi di chi comanda: per esempio frequentare a vario titolo le sue varie stanze, mettere a disposizione appartamenti, persone e servigi di ogni tipo, offrire regali, creare occasioni, e poi intermediare a beneficio proprio incontri, appalti e commesse, agevolare amici e parenti, favorire nomine, e via dicendo. In Italia, il malcostume e la corruzione legati alla politica traggono un alimento continuo e potente innanzi tutto da questo degrado della funzione parlamentare, che da tempo è spogliata di quasi ogni autentico significato. È dubbio però che il vero rimedio possa essere una diversa legge elettorale. Tuttavia cambiare quella attuale — per esempio ritornando non già a qualche sciagurata riedizione della proporzionale ma al «Mattarellum» — rappresenterebbe perlomeno un segnale. È vero, infatti, che anche con il «Mattarellum» i candidati dei collegi uninominali venivano scelti dai partiti — come del resto era la regola anche con la proporzionale — ma quel che dopotutto fa una certa differenza è per che cosa si viene scelti. Se per prendere più voti possibile in un determinato collegio, ovvero, come accade oggi, se per ricevere un regalo in cambio dell’obbedienza e di nient’altro.
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