Immigrazione, quello che manca all’Italia

La questione degli immigrati in Italia: la visita di Papa Francesco a Lampedusa ha fatto emergere con chiarezza un tasto dolente per il nostro paese.

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Un messaggio così forte, come quello pronunciato da Papa Francesco a Lampedusa, non poteva passare inosservato. La Chiesa universale, che per sua natura e vocazione è sempre dalla parte degli ultimi, degli sconfitti e dei deboli, ha il pieno diritto di richiamare l’attenzione di tutto il mondo occidentale sulla questione degli immigrati in Italia e sui 20mila immigrati morti nei naufragi nel mare Mediterraneo, praticamente a casa nostra.

E sulla questione degli immigrati in Italia il Papa parla da pastore, da un pulpito spirituale, rivolgendosi alla nostra coscienza, quando evoca la «globalizzazione dell’indifferenza». Già, perché se è vero che la globalizzazione ha emancipato milioni di uomini, è anche vero che ha contribuito a una drammatica polarizzazione tra ricchi e poveri, tra popoli del Nord e del Sud del Pianeta. E chi, se non un Papa, dovrebbe sottolineare questa contraddizione?

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Altra cosa, invece, è l’aspetto politico del problema dell’immigrazione, che riguarda la sfera di competenza di Cesare. Gli sbarchi dei naufraghi di Lampedusa, registrati anche nel giorno del discorso di Papa Francesco, ci dicono quanto sia complicato il governo di un fenomeno così complesso, e quanto siano necessarie forti azioni politiche in patria e nelle terre di origine dei migranti.

Non c’è bisogno di essere volgari e di agitare lo spettro della paura, fino ad augurarsi l’affondamento di qualche altro barcone come ha dichiarato ieri un parlamentare leghista, per avere la consapevolezza di un dato di fatto: non possiamo permetterci un’immigrazione senza limiti e senza regole. Anche perché dietro quelle morti ci sono gruppi criminali che controllano il traffico dei viaggi della speranza, e questo pone un problema di sicurezza nazionale e di controllo del territorio.

LA QUESTIONE DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA. Purtroppo dobbiamo riconoscere che l’Italia non ha ancora un modello di integrazione efficace, e senza una precisa bussola politica (con una legge, la Bossi-Fini, da tutti riconosciuta inadeguata) sbandiamo nel vuoto di opposti effetti dell’immigrazione. Due numeri fotografano la nostra incompiutezza. Il 44 per cento dei figli degli immigrati lascia la scuola prima della scadenza prevista dalla legge, gonfiando l’area della dispersione e il potenziale bacino di reclutamento della malavita organizzata.

Allo stesso tempo, le imprese controllate dagli immigrati sono quasi 500mila e rappresentano ormai il 7,4 per cento dell’intero patrimonio aziendale del Paese, con punte vicine al 20 per cento come nel caso della regione Lombardia.

C’è un’immigrazione che possiamo assorbire e produce ricchezza, e c’è un’immigrazione che può peggiorare, e non migliorare, la coesione sociale del Paese. Favorire la prima, ancorandola a una piena cittadinanza fatta di diritti e di doveri, e reprimere la seconda, con l’uso della legalità interna e di relazioni internazionali, significa avere un’idea di buon governo del dell’immigrazione.

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