La reggia di Carditello cade a pezzi. E intorno a questo gioiello dell’architettura settecentesca, a pochi chilometri da Caserta, si allestisce una specie di danza macabra. Non bastano i ladri e i vandali che quasi ogni notte scavalcano il recinto e strappano la corona dello stemma, si avventano sulle aquile alla base dell’obelisco oppure danno fuoco a uno dei grandi platani che svettano davanti alla facciata dell’edificio, nell’arena dove i re Borbone allenavano i cavalli – i migliori nell’Europa del Settecento. Al grottesco e lugubre balletto dei saccheggiatori si aggiungono le istituzioni che dovrebbero occuparsi di questa residenza reale, costruita nel cuore di quella che un tempo era la Campania felix. E che invece scaricano le responsabilità l’una sull’altra. Lasciando che la reggia a marzo prossimo venga venduta all’asta per pochi spiccioli (poco meno di venti milioni, dopo due sedute andate a vuoto).
La reggia è di proprietà di un ente della Regione Campania, il Consorzio di bonifica del Basso Volturno, che affoga nei debiti. E che è costretto a svendere ai creditori (l’ex Banco di Napoli, ora Banca Intesa) il suo patrimonio. E quindi la reggia, finita ora sotto la custodia del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Qualche settimana fa il giudice che cura la vendita ha emesso un decreto con il quale si vieta a chiunque, anche ai giornalisti, di entrare. Pericolo di crollo, dice il provvedimento. Che impedisce ai cronisti di documentare lo strazio di un patrimonio culturale, ma non ha evitato che i saccheggiatori facessero man bassa. Qualche giorno fa si è deciso di istituire una vigilanza anche notturna. Ma la notizia è stata presa come l’ulteriore, tardiva beffa in una storia triste e tragica che va avanti da tempo.
Ai ladri si sommano gli effetti dell’abbandono in cui versa la reggia. Le decorazioni, restaurate appena una decina di anni fa, rischiano di staccarsi inzuppate dall’acqua che cola nelle murature, e sono in pericolo anche i preziosi affreschi di Jakob Philipp Hackert, amico di Goethe e pittore di corte con Ferdinando IV di Borbone, aggrediti dall’umidità e dalle muffe. I ladri sono saliti fin sull’altana, da dove lo sguardo spazia sulla maglia a scacchiera della campagna aversana che, nonostante le discariche abusive e quelle legali, conserva i tratti di un paesaggio rurale fra i più celebrati. Dalle balaustre hanno staccato i pilastrini in marmo, uno dopo l’altro, scartando quelli del piano di sotto che invece sono copie. I pilastrini che si sono rotti durante il trasporto li hanno abbandonati ai piedi del recinto. I pezzi interi li hanno portati via con i camion. Ci sono volute ore, i pilastrini sono pesanti e ingombranti. Ma nessuno ha visto niente. Negli anni scorsi hanno rubato quasi tutti i caminetti, i lastroni in marmo delle scalinate e interi pezzi di pavimento. Non si erano però mai viste tante razzie come negli ultimi giorni. Ora si teme per le cornici delle porte, anch’esse di un marmo che non si trova più in circolazione.
Il Consorzio di bonifica, che in realtà si occupa di irrigazione e regimazione di acque, ha ereditato la reggia, circondata da una tenuta di oltre 2 mila ettari, dall’Opera nazionale combattenti, alla quale finì in dote negli anni Venti del Novecento. Nessuno, né i combattenti né il Consorzio, hanno mai capito che cosa fare di questa meraviglia. La tenevano lì, inscrivendola nei propri bilanci e sperando che qualcuno se l’accollasse. Negli anni Ottanta nei padiglioni laterali di Carditello venne organizzato un Museo della civiltà contadina, tenuto con molta cura. Ma poi anch’esso venne abbandonato, i solai cominciarono ad aprirsi e le tegole si sfracellavano al suolo. I pezzi più belli vennero rubati, altri furono dispersi in varie collezioni. Attualmente ci sono solo brandelli di carretti, di macine e di aratri.
Alla fine degli anni Novanta il Ministero per i Beni culturali investì cinque miliardi di lire per restaurare la parte centrale dell’edificio, la vera e propria residenza reale. Ritornarono a splendere gli stucchi verde chiaro delle volte e ripresero colore gli affreschi di Hackert, molti dei quali raffigurano il paesaggio rurale dell’intorno, attraversato da cavalli e bufale, l’acquedotto carolino e la Reggia di Caserta. Il Consorzio vi installò alcuni uffici e la Reggia, seppure con abiti burocratici, viveva. Poi la crisi: le casse del Consorzio si andavano prosciugando e l’ente agonizzava a causa dei debiti. Fra i creditori c’era l’allora Banco di Napoli, che tramite una sua società, la Sga, avviò la procedura per la vendita all’asta.
La Reggia di Carditello ha iniziato a morire giorno dopo giorno. Vuota, abbandonata, perdeva pezzi. I tetti, sfondati, lasciavano entrare la pioggia che imbeveva le murature. Gli infissi non chiudevano più, l’acqua penetrava nei grandi saloni e stagnava nei solai. La Regione Campania (era Bassolino) avviò dei progetti di restauro e di riuso dell’edificio. Il Consorzio, per iniziativa di un commissario, Alfonso De Nardo, raggiunse un’intesa con la Sga che si sarebbe accontentata di 9 milioni, evitando che la reggia finisse all’asta. Bastava che la Regione, a sua volta debitrice del Consorzio, versasse nelle casse dell’ente quanto dovuto. Ma tutto è rimasto fermo. Nel frattempo è cambiata l’amministrazione regionale. Ora il presidente Stefano Caldoro fa sapere tramite la sua portavoce che lui su Carditello non ha niente da dire. E il consiglio regionale ha appena bocciato un emendamento alla legge finanziaria che stanziava tre milioni in tre anni per pagare il debito del Consorzio e per evitare che la reggia finisse nelle mani di chissà chi.
Il Consorzio accusa la Regione. E contro la Regione si scaglia anche la Soprintendente Paola Raffaella David. Che mette Caldoro sul banco degli imputati insieme a Consorzio e Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, cercando di impedire la vendita all’asta e chiedendo l’intervento dell’Avvocatura dello Stato per fermare la procedura. D’altronde, ribattono gli imputati, non è che i Beni culturali abbiano fatto granché. E in effetti a Carditello non si è mai visto nessuno in questi anni, tantomeno ministri o alti dirigenti di quel ministero, quasi che la reggia, fastidioso ingombro, non avesse altro destino che essere abbandonata o soccombere sotto i colpi dei vandali.
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