La sostenibilità ‘abitativa’ dell’acqua

In questi ultimi anni l’attenzione per la riduzione dei consumi idrici nel settore domestico, e più in generale in quello civile, ha avuto un costante e continuo incremento di interesse. Ciò non è legato solo alle note vicende del referendum per la privatizzazione dei servizi pubblici, ma anche ad obiettive difficoltà di disponibilità delle risorse […]

risparmiare acqua

In questi ultimi anni l’attenzione per la riduzione dei consumi idrici nel settore domestico, e più in generale in quello civile, ha avuto un costante e continuo incremento di interesse. Ciò non è legato solo alle note vicende del referendum per la privatizzazione dei servizi pubblici, ma anche ad obiettive difficoltà di disponibilità delle risorse idriche da avviare alla potabilizzazione, di gestione delle acque reflue derivanti dagli usi civili, e dalla necessità di ridurre i costi energetici connessi a questi processi produttivi.

Il cambiamento del regime di piovosità che si sta avendo in questi ultimi anni in Italia e nel mondo, con una tropicalizzazione degli eventi meteorici (lunghi periodi di siccità intervallati da intense piogge di breve durata), obbliga a trovare nuove soluzioni per l’approvvigionamento idrico delle abitazioni.

Benché i consumi idrici civili rappresentino circa il 10-20% dei consumi idrici totali di un paese, lo stimolo a ridurre i consumi idrici anche in questo settore deriva da un cambiamento generale delle politiche che riconoscono nell’acqua un “bene indispensabile finito” con tempi di rigenerazione molto lunghi, dove è quindi evidente la necessità di preservare le acqua profonde, (più pregiate), per utilizzi di alta qualità – prevalentemente a scopo alimentare ed attività connesse – , e di utilizzare invece tutte le altre acque (meno nobili) per degli “usi non idropotabili”, quali irrigazione, flussaggio, toilette, pulizia della casa e personale. Proprio in questo senso, le attività di ricerca si sono man mano indirizzate verso due filoni principali: da un lato, la realizzazione di nuovi apparati a minor consumo idrico, e dall’altro, lo sviluppo di soluzioni efficaci per la raccolta, recupero, trattamento in sito e riutilizzo dell’acqua.

Dalla figura 1 inoltre, si può notare come i consumi di acqua potabile potrebbero essere limitati a solo il 12% di tutti i consumi domestici, mentre purtroppo, a causa del processo di risciacquo dei water, l’impiego della risorsa idropotabile finisce con alzare notevolmente il consumo complessivo di un’abitazione di circa il 30% in più.

 

In altri casi, un minore consumo di acqua per certi usi, può significare anche un minor consumo di energia. Le vecchie lavatrici o lavastoviglie ad esempio, un tempo consumavano circa il doppio dell’acqua che oggi viene normalmente risparmiata da un elettrodomestico moderno durante un lavaggio e, visto che nel corso del risciacquo, l’acqua viene anche riscaldata, un minor impiego idrico significa, in questo caso, anche risparmio energetico.

Nonostante i progressi delle tecnologie ci aiutino a “risparmiare”, dobbiamo comunque tenere presente che, in generale, il semplice utilizzo dell’acqua per una doccia o per igiene personale, possa comunque rappresentare un potenziale spreco idrico ed energetico, nel caso in cui la risorsa non venga gestita correttamente per il suo specifico uso.

 

Il tema della gestione sostenibile delle risorse idriche è, naturalmente, un problema molto sentito in Italia che, nonostante sia un paese mediterraneo climaticamente avvantaggiato, deve comunque confrontarsi con delle problematiche legate all’approvvigionamento e alla fornitura delle risorse idriche, soprattutto in considerazione del suo alto consumo di acqua pro capite: la stima dei consumi di acqua potabile pro capite nel nostro Paese è infatti di circa 250 l/giorno contro, ad esempio, i 150 della Germania e i 230 della media europea. Di questi, circa 150 l/giorno sono riconducibili direttamente ai consumi domestici (e quindi al consumo di acqua potabile) mentre la parte restante deriva dai consumi idrici degli altri settori civili e piccola industria.

Una buona parte di questi consumi può, ovviamente, essere ridotta visto che non sempre, negli usi domestici, è richiesta un’acqua di qualità di grado potabile.

Molti studi infatti – tenendo preliminarmente conto dei diversi livelli di fabbisogno igienico – hanno evidenziato che almeno il 50% dei consumi idrici italiani possono essere sostituiti dall’acqua piovana raccolta sui tetti degli edifici . Il dato è confortato dalla stima di piovosità media, che in Italia raggiunge circa i 750mm anno – sufficiente a coprire, su una superficie di 100m2, tutti i fabbisogni idrici di una persona per un anno intero, oppure i consumi non idropotabili di due individui. Se infine consideriamo che tra i consumi non idropotabili c’è anche il flussaggio delle toilette – che necessiterebbe anche di una qualità idrica inferiore a quella dell’acqua piovana – o l’irrigazione delle aree verdi, con la semplice raccolta e trattamento di “acqua grigia” (una risorsa con carico inquinante e batterico molto basso, costantemente disponibile durante l’anno da bagni e lavabi) si potrebbe ridurre di un ulteriore 50% il consumo di acqua piovana, portando in questo modo a 4 il numero di persone “servite non idropotabilmente” (sempre su una superficie di 100m2).

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