Severino Emanuele
Comunque la si giudichi, l’ istituzione dell’ euro senza un governo europeo è stata uno scacco della politica. Un’ analoga emarginazione della politica è costituita da episodi quali il recente verticismo Merkel-Sarkozy, che molto probabilmente ha intenti elettorali, ma sicuramente propone un governo economico e non politico dell’ Europa. Ma altro è l’ agire economico (imprenditoriale, finanziario) del mondo capitalistico, ossia l’ agire che è un composto di razionalità e rischio, altro è (o dovrebbe essere) un governo economico, che deve procedere eliminando il più possibile il rischio e le «ideologie», quella politica inclusa, in favore della razionalità e propriamente, oggi, della forma di razionalità che compete alla scienza economica. La quale appartiene alla più ampia dimensione delle tecnoscienze, che stanno progressivamente dominando il Pianeta. Certo, la politica, come il capitalismo e le altre grandi forze della civiltà dell’ Occidente e dell’ Oriente, puntano i piedi per non farsi travolgere. Ma anche l’ agire politico, poiché non è scienza, ha una forte componente di rischio, che però il politico deve nascondere per non allontanare da sé gli elettori. La scienza economica non è (o non dovrebbe essere) l’ agire capitalistico – così come la fisica non è gli atomi e la zoologia non è gli animali. Ma anche: l’ agire capitalistico non è un agire tecno-scientifico. Se ne serve (come credono di servirsene le economie pianificate); e proprio per questo non coincide con esso. Il rischio appartiene all’ essenza del capitalismo e appunto per questo anche il capitalismo è una «ideologia». Come la politica. Si rischia quando, a differenza che nell’ agire tecno-scientifico, non si sanno prevedere le conseguenze non volute di quanto si fa, che tuttavia vien fatto perché si ha fede che i vantaggi che si possono ottenere facendolo siano consistentemente superiori agli svantaggi dovuti al non farlo. La tecno-scienza è destinata al dominio nel senso che esso è, insieme, il progressivo prevalere dell’ agire tecno-scientifico, che dunque va progressivamente soppiantando l’ agire capitalistico e politico. Si è sì capaci di constatare che la gente oggi non può muovere un passo prescindendo dai prodotti della tecno-scienza, ma quasi mai si avverte lo scollamento tra agire capitalistico e agire tecno-scientifico. E invece altro è produrre una centrale nucleare avendo come scopo l’ incremento del profitto privato del produttore (al quale egli mira rischiando – e, anche in questo caso, mettendo a rischio la vita altrui), altro è produrre centrali nucleari in base ai criteri della tecno-scienza, che mirano ad assicurare il più possibile la loro efficienza e a eliminare il rischio. Il capitalismo va verso il tramonto non per le contraddizioni che il marxismo ha creduto di trovarvi, ma perché l’ economia tecnologica va emarginando l’ economia capitalistica (come in qualche modo ha già emarginato l’ economia pianificata dell’ Unione Sovietica). Invece, proponendo un governo economico, Germania e Francia contribuiscono sì all’ emarginazione della politica, dando però per scontato che l’ unica economia possibile sia quella capitalistica. E, d’ altra parte, danno sì l’ impressione di voler consolidare la loro leadership economico-politica in Europa, e lo credono esse stesse, ma in effetti propongono un passo importante verso quella gestione tecno-scientifica dei problemi sociali che è destinata a sostituire la loro gestione economico-politica e a presentarsi come l’ autentico governo tecnico. Considerato per quel che tende ad essere e non per come si fa percepire, il governo tecnico europeo non è quindi il cosiddetto «governo tecnico» di cui si parla in Italia per deprecarlo o auspicarlo. Questo secondo «governo tecnico» è tenuto in vita dai partiti, cioè la politica gli assegna i tempi, i limiti, gli scopi. In esso la tecnica è un mezzo della politica. Nell’ autentico governo tecnico, invece, quando esso sarà uscito dall’ ambiguità estrema da cui oggi sono ancora avvolte le sue anticipazioni, la politica è un mezzo della tecnica ed è tenuta in vita nella misura in cui essa gli serve. Lo diciamo, anche se è ben difficile che l’ autentico governo tecnico prenda piede come sviluppo nel modo in cui è stato proposto dal vertice Sarkozy-Merkel. Si è ancora molto lontani dal comprendere il sottosuolo della relazione tra politica, economia, tecnica. Ed è quindi naturale che Mario Monti, rilevando che l’ Italia si è fatta imporre le misure anticrisi da un comitato tecnico europeo, lo abbia considerato come un semplice «governo tecnico» controllato dalla politica franco-tedesca. Per lo più, vengono ancora ignorati i motivi che conducono verso il dominio della razionalità scientifico-tecnologica e al declino del capitalismo e della politica. (Ma tali motivi ci sono; e anche in questa sede ho tentato più volte di richiamarli). Si auspica da più parti il ritorno della politica che mira ai valori ritenuti essenziali e che è capace di liberarsi dalla tutela economica. Questa tesi è stata recentemente ribadita da un interessante editoriale di Ernesto Galli della Loggia («Il vero disavanzo delle democrazie», sul «Corriere» del 17/8). Per salvare la democrazia egli auspica una politica che proceda «con verità». Ma la gran questione è sapere come realizzare gli auspici; e, soprattutto, che cosa significhi «verità». Un discorso come quello di Galli della Loggia contro l’ «economicismo» si affianca in qualche modo alle tesi contro il «mercatismo» sostenute da Giulio Tremonti in un libro di cui ho parlato a suo tempo su queste colonne. Entrambi, come molti altri, si trovano sostanzialmente d’ accordo con la posizione della Chiesa cattolica. L’ auspicio è un appello alla volontà. Ma siamo sicuri che non esista altra forza che la volontà? O invece la volontà non può non tener conto delle tendenze oggettive della storia, senza di che essa si riduce a semplice velleità? E se queste tendenze non sono esplorate, come è possibile organizzare e dare un contenuto alla volontà? Le tendenze esplorate da Galli della Loggia riguardano soprattutto l’ Italia contemporanea: avendo cessato di esser «vera», la politica si è ridotta a elargizione di benefici per mantenere e accrescere il proprio elettorato. Di qui il prevalere dell’ indebitamento statale e la dipendenza della politica dall’ economia. Il rimedio: l’ auspicio che la «vera» politica venga riscoperta. Ma è accaduto e sta accadendo ben di più e qualcosa di ben più profondo. Qui è possibile solo un cenno. Secoli di pensiero filosofico innanzitutto, ma poi il sapere scientifico e a suo modo anche l’ esperienza artistica hanno messo in discussione e infine negato la «verità». Sotto questa spinta si è diffusa nel mondo la negazione della verità che la filosofia stessa aveva inteso, lungo la tradizione dell’ Occidente, come dimensione immutabile che sta ferma, guida il divenire del mondo, rende stabili e «veri» i «valori» della politica. Il tramonto della «verità» è il tramonto della «vera» politica. Un turbine tragico. Avvolge il mondo. Ma chi ne conosce la potenza? E chi sa spegnerlo, quindi? Portando al tramonto la «verità», la filosofia del nostro tempo libera la tecnica da ogni limite assoluto e la autorizza a rovesciare il proprio rapporto con la politica, l’ economia e le altre forze che intendono servirsi di essa: la autorizza ad abbandonare il suo ruolo di mezzo e a porsi essa come la forza che si serve degli antichi padroni. L’ autentica «grande politica» del nostro tempo è il riconoscimento di questo destino.
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