In Italia muore un ciclista ogni 48 ore

Abbiamo il record europeo di incidenti mortali che coinvolgono persone che vanno in bici. Una strage silenziosa. La regione più a rischio è la Lombardia

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Ogni due giorni un morto. L’Italia ha il più alto tasso di incidenti mortali in Europa che coinvolgono i ciclisti: 204 nel 2024, 197 nel 2023, 180 nel 2021. Una strage silenziosa che non si ferma e non risparmia nessuno: dai ciclisti più esperti ai ragazzini. Sara Piffer, 19 anni, promessa del ciclismo italiano, è stata travolta e uccisa da un’auto in Trentino Alto Adige mentre si allenava con il fratello. Michele Scarponi pedalava tutti i giorni, la bici era la sua vita. E la sua vita si è spezzata, in un meno di un attimo, quando Scarponi, ex vincitore del Giro d’Italia, è stato falciato, proprio mentre si allenava, dall’autista di un furgone probabilmente accecato dal sole. Mohanad Moubarak era un bambino di 11 anni, egiziano, e in piena notte è stato ucciso a Milano, mentre passeggiava nei pressi della rosticceria “El sultan”, aperta dal padre nel 2021.

Michele-Scarponi_Foto-LB-2Michele Scarponi | Benfatto/Cronache Maceratesi

Il record negativo dei decessi vede a pari passo la Lombardia e l’Emilia-Romagna, seguite da Veneto, Piemonte, Toscana, Puglia, Sicilia e Campania. Fa rabbia, diciamolo, sentire i racconti del primo tratto autostradale inaugurato in Germania, a «esclusivo consumo delle biciclette», mentre in Italia i ciclisti continuano a essere travolti nelle strade, fa venire tanta rabbia. I tedeschi hanno fatto una cosa molto semplice, per aumentare la rete ciclabile e la sicurezza dei ciclisti, evitando il rischio che siano investiti dalle auto. Hanno preso i soldi dell’Unione europea, dei quali disponiamo anche noi, e hanno finanziato la metà del costo (180 milioni di euro) di un’opera simbolo della nuova mobilità nel paese: un’intera autostrada che percorre 100 chilometri nella Ruhr, e attraversa centri importanti come Hamm, Duisburg, Essen e Dortmund, solo in bicicletta. L’obiettivo è indurre tutti i pendolari dell’area, dagli operai delle fabbriche della Ruhr agli studenti, a sostituire l’auto con la bicicletta. Grazie a una strada esclusiva, con una carreggiata larga cinque metri, in due direzioni di marcia.
E in Italia? I percorsi ci sono, ma quasi tutti sulla carta. Dalla ciclovia del Sole da Verona a Firenze, alla VenTo, da Venezia a Torino lungo il fiume Po, fino al Grab, il Grande raccordo anulare per la bici a Roma. I fatti, purtroppo, vanno in un’altra direzione. Nella classifica della Federazione ciclisti europei che misura l’uso della bici all’interno dei singoli paesi europei, siamo ancora scivolati, dal posto numero 15 a quello numero 17. E siamo stati superati perfino da paesi molto meno sviluppati, come la Lituania e la Croazia.
Eppure, come al solito non manca una legge che già esiste e se fosse applicata potrebbe cambiare il destino dei ciclisti italiani, di tutti i cittadini che fanno uso della bici in modo frequente. Risale addirittura al 1998, circa vent’anni fa: è la numero 366 e prevede una cosa chiara e forte: ogni volta che si costruisce una nuova strada o si fa manutenzione straordinaria, bisogna costruire una nuova pista ciclabile oppure mettere in sicurezza quelle esistenti. Bene: una legge vitale, di questa importanza, è completamente disapplicata in Italia, tutti se ne fregano. E intanto facciamo i conti con la strage di un ciclista morto ogni  48 ore.

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