Sprechi d’Italia: quanto ci costa l’assistenzialismo. Ecco la vera storia degli Lsu, mentre abbiamo bisogno di lavoro vero

Ma chi sono veramente i lavoratori socialmente utili? E perché ci trasciniamo da vent’anni questo problema senza mai riuscire a risolverlo, ma anzi gonfiandolo, anche attraverso le peggiori pratiche clientelari, in modo sempre più preoccupante?

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LAVORATORI SOCIALMENTE UTILI – Ci risiamo: lo spreco dell’assistenzialismo cronico in Italia, quello che non aiuta il lavoro vero ma alimenta solo le clientele e i posti finti, torna ad esplodere. E questa volta a finire nel caos sono le scuole, prigioniere della protesta dei lavoratori socialmente utili che svolgono, almeno sulla carta, i servizi di pulizia.

Ma quanti sono i lavoratori socialmente utili in Italia? Bella domanda. Nessuno è in grado di fornire un numero preciso, e secondo le stime più attendibili parliamo di un esercito di 100mila persone, delle quali i tre quarti risultano impiegati nelle regioni meridionali e centrali. E così ogni anno, e il 2014 non fa eccezione, si ripete il rito della “bomba Lsu” che rischia di scoppiare sul tavolo del governo e del Paese.

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Bisogna rifinanziare il rubinetto della spesa pubblica che tiene a galla l’oceano, in questo caso un mare tipicamente italiano, del precariato di massa. I soldi da Roma appaiono e scompaiono, come le proteste di piazza, i cortei a rischio violenza, i sindaci e gli amministratori locali che urlano perché assediati dai manifestanti e preoccupati per gli ennesimi tagli ad alcuni servizi affidati proprio ai lavoratori socialmente utili. Il governo Letta non ha fatto eccezione e ha consumato il suo rito della “bomba Lsu” con particolare disordine, quasi come con l’Imu: in un primo momento si prevedeva un conto di 110 milioni di euro, soldi in buona parte concentrati in Calabria, poi dopo le proteste dalla Sicilia, dalla Campania, e di tanti piccoli comuni del Nord, i cordoni della borsa si sono allargati.

Risultato: la legge di stabilità, quella che un tempo si chiamava finanziaria, mette nel conto anche 100 milioni per assumere gli Lsu a Napoli e Palermo e una serie di mance per la stabilizzazione di questa particolare tipologia di precari nei comuni con meno di 50mila abitanti. Pratica temporaneamente archiviata, almeno fino al 31 dicembre 2014, quando il carosello Lsu riprenderà.

Ma chi sono veramente i lavoratori socialmente utili? E perché ci trasciniamo da esattamente vent’anni questo problema senza mai riuscire a risolverlo, ma anzi gonfiandolo, anche attraverso le peggiori pratiche clientelari, in modo sempre più preoccupante? I lavoratori socialmente utili sono spesso inutili, ma in altri casi sono utilissimi e perfino indispensabili. In questa categoria del precariato di massa, che ormai potrebbe riempire un’enciclopedia con le varie tipologie di attività svolte dagli Lsu, rientrano infatti uomini e donne che svolgono diverse attività. Si va dai giardinieri al personale delle biblioteche, dall’addetto alle pulizie nelle scuole all’usciere di un ufficio pubblico, dall’ex netturbino allo spalatore di neve, dal lavoratore che dovrebbe pulire un bosco a quello che stacca i biglietti all’ingresso di un museo.

Gli Lsu finti sono noti alle cronache: il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, deve ancora fare ordine tra quanti nel suo comune risultano addetti alle pulizia dei giardini. E ha più o meno lo stesso problema con il quale fece i conti, circa vent’anni fa durante il suo primo mandato di sindaco di Palermo, quando scoprì che su 7mila giardinieri la metà non venivano utilizzati. E’ anche vero però che Franco Ritacca, un lavoratore socialmente utile addetto al decoro urbano nel comune di Cerisano, in provincia di Cosenza, lo scorso 23 novembre è morto sul lavoro mentre sistemava l’albero di Natale comunale. I nostri musei sono imbottiti di Lsu, e in tanti sono finiti al centro di indagini della magistratura per casi di assenteismo di massa, ma senza il lavoro di quella parte di precari che non rubano lo stipendio, diversi musei dovrebbero chiudere. Come le scuole, dove i lavoratori socialmente utili addetti alle pulizie sono ormai un esercito di 14mila persone.

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La genesi legislativa e le continue proroghe dei finanziamenti agli lsu, cioè la risposta alla seconda domanda, rappresentano invece un tipico caso dell’Italia dei rattoppi, delle furbizie, dell’impotenza politica mista a bieco clientelismo di partiti e capipopolo, sindacalisti e professionisti dei movimenti del precariato made in Italy. I lavoratori socialmente utili, infatti, risalgono a una legge del luglio del 1993 firmata dall’allora ministro Tiziano Treu e intitolata in modo pomposo e criptico Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione e sulle politiche del lavoro a sostegno del sistema produttivo. Sostegno? Lavoro? Si trattava semplicemente di assorbire, in modo temporaneo, una parte dei lavoratori espulsi dalle aziende medio e grandi, ricollocandoli in lavori di “utilità sociale” a vario livello. E invece il temporaneo è diventato definitivo, con una serie di leggi successive, quasi una ogni anno, che non hanno mai prosciugato l’oceano del precariato, ma anzi lo hanno allargato. Per non parlare di una pioggia di sentenze del Tar e del Consiglio di Stato, e di decreti legislativi e di circolari ministeriali che hanno di volta in volta provato a dare una stabilità giuridica a una figura, il lavoratore socialmente utile, che per sua natura doveva essere solo ricollocato temporaneamente.

Insomma: il caos. E il fuoco, il micidiale incendio, di 100mila persone che ogni anno devono rinegoziare, spesso con la forza della protesta più dissennata, il loro stipendio a rischio. Senza avere, da vent’anni, né un posto dignitoso, né una retribuzione certa, né una collocazione sicuramente utile per il sistema Italia.

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