Quanto vale il lavoro casalingo delle donne

La fatica di una madre vale 184mila dollari all’anno. Il due terzi del lavoro domestico è sulle spalle delle donne. E tante fanno il «secondo turno» dopo un normale lavoro in ufficio

DIVIDERE IL CARICO DEL LAVORO NELLA COPPIA

Non ci sono soltanto lo scandalo del gender gap, con l’enorme spreco di risorse, o i licenziamenti facili quando le mamme decidono di fare un figlio, tra le ombre del lavoro femminile c’è anche quello non retribuito. Delle casalinghe, delle mamme, delle donne-sandwich che si occupano a tempo pieno della propria famiglia e di quella di origine. Ma quanto vale questo lavoro? Giovanna Badalassi, ricercatrice, e Federica Gentile, blogger, hanno riportato in un interessante libro (Signora economia. Giuda femminista al capitale delle donne. Edizioni Le plurali) alcuni dati molto significativi. Il lavoro non retribuito delle donne vale circa 50 miliardi di ore, più del doppio di quello retribuito degli uomini, pari a 20 miliardi di ore. Il lavoro di una madre, senza vedere mai un centesimo, vale 184.000 dollari all’anno, e il lavoro di cura delle famiglie, comprese quelle di provenienza, ha un valore di 10.800 miliardi. Intanto il 71 per cento del lavoro domestico è sulle spalle delle donne, mentre gli uomini tendono a fare le comparse.

In America, la femminista di origine italiana Silvia Federici è diventata popolarissima con il movimento Wages for Housework (letteralmente: salario per il lavoro domestico). La Federici chiede cose molto concrete, come per esempio un target di allineamento dei lavori domestici vicino alla parità. Cinquanta e cinquanta, che significherebbe lo stesso numero di ore di attività in casa, sia per accudire figli e genitori, sia per apparecchiare la tavola e cucinare, tra uomini e donne. Poi c’è il tema salariale.

Per le donne che continuano a lavorare più degli uomini bisognerebbe introdurre una forma di salario minimo, e qui i numeri sono davvero significativi: secondo una ricerca della Oxfam, se le donne americane ricevessero un mini-stipendio per i lavori domestici, guadagnerebbero qualcosa come 1.500 miliardi di dollari all’anno. Già nel 2015 Melinda Gates aveva lanciato un appello per unire le donne in questa battaglia a favore del riconoscimento di un lavoro oggi del tutto sommerso. E aveva presentato un conto molto interessante: se tutte le donne che si occupano di lavoro domestico e di assistenza ai familiari costituissero una nazione, sarebbe la quarta economia del mondo. E un libro di grande successo in America è stato Getting to 50-50, how working parents can have it all (Arrivare a 50-50, come i genitori che lavorano possono avere tutto) scritto da Sharon Mears e Joanna Strober. Qui trovate una serie di consigli per ottenere, con chiarezza e senza necessariamente scatenare conflitti, la parità uomo-donna nel lavoro domestico, che rappresenta un altro meccanismo per riconoscere e retribuire le attività femminili in casa. La cosa più interessante di questo libro è la scoperta, con un’indagine sul campo, che la parità nei carichi del lavoro domestico rende la coppia più serena e più stabile. La relazione si allunga

Ma in un paese dove sono tante le donne in carriera, anche ai vertici delle multinazionali, ha destato impressione il fatto che Sheryl Sandberg, amministratrice delegata di Facebook, scrivendo l’introduzione alla nuova Bibbia per la parità dei sessi abbia fatto partire una vera crociata su questa frontiera dei rapporti tra uomini e donne. “Dividere il carico dei lavori domestici non solo è giusto, ma è la cosa migliore che possa capitare a una famiglia”, scrive la Sandberg. “Permettere agli uomini di fare la loro parte in casa fa bene alla donna perché le dà più scelte, così come fa bene agli uomini ed ai figli. Il padre si sentirà più partecipe, i figli cresceranno più forti e sicuri, in un ambiente non conflittuale”.

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L’Italia non è l’America, e le donne sembrano persino più rassegnate all’idea di uno squilibrio così ingiusto dei carichi domestici. Raramente si lamentano persino del «secondo turno», ossia il lavoro che devono fare dopo l’attività svolta all’esterno delle loro case. Però, chissà, nel tempo questo lavoro extra potrebbe essere meno scontato, e magari retribuito in qualche modo. Intanto è utile sottolineare quanto sia retorico parlare di parità di genere e di diritti delle donne in un Paese dove le distanze, a partire dai nostri stili di vita domestici, sono così marcate e in aumento. E quanto sia necessario prendere esempio da diversi paesi, non solo del Nord Europa, come la Finlandia, ma anche dell’area mediterranea, come la Spagna, che prevedono lezioni di Economia domestica già dalla scuola media. Per tutti, femminucce e maschietti. Insegnare a un ragazzino il cucito o l’uso di una lavatrice, magari all’interno dei programmi di Educazione civica, è un primo passo per formare un uomo che non dia più per scontato che i lavori domestici in casa siano tutti sulle spalle delle donne.

Nei paesi del Nord Europa, a partire da Svezia, Norvegia e Finlandia, è impensabile che ci sia una differenza di carichi di lavoro, all’interno del nucleo familiare, tra uomini e donne a proposito dei lavori domestici e delle cure dei figli piccoli. Tutto è diviso in perfetta parità, come viene insegnato già nella scuola primaria. In Svezia, per esempio, secondo le statistiche di Eurostat, il 70 per cento delle donne svolge lavori domestici, ma lo fanno anche oltre il 60 per cento degli uomini. Stesso discorso per la cura dei bambini piccoli: se ne fanno carico il 96 per cento delle donne svedesi, ma anche il 90 per cento degli uomini.

Il primo modo per riconoscere fino in fondo il valore del lavoro domestico è quello di dare alle donne, in termini di servizi, ciò di cui hanno bisogno per accudire la famiglia di origine e la famiglia dove si è madre e moglieasili, incentivi per i congedi parentali dei padri al lavoro, assistenza a domicilio per le persone anziane non autosufficienti, baby sitter e badanti. Questi servizi, che oggi tracciano una linea di demarcazione tra paesi civili ed evoluti e paesi meno civili e meno evoluti, devono aumentare, e i soldi ci sono specie se si tagliano gli sprechi della spesa pubblica, come giusta ricompensa indiretta del lavoro domestico monopolizzato dalle donne. La seconda soluzione, ancora più veloce e possibile della prima, è quella di coinvolgere in modo frontale e diretto i maschietti. O con le braccia o con il portafoglio. L’uomo, che tra l’altro fa carriera e guadagna grazie alle spalle coperte in casa dalla donna, deve scegliere. O condivide questa attività, e ne prende in carico una parte, alleggerendo i pesi e le fatiche delle donne, oppure mette mano al portafoglio e tira fuori uno stipendio, sì: uno stipendio, per la moglie, la compagna, la convivente, che si fa carico dei lavori domestici nella casa dove si vive insieme. E considerando i precedenti e alcuni vizietti del noto popolo dei maschi, mi viene da dire alle donne: metteteci con le spalle al muro, le mani in alto, e il portafoglio poggiato sul tavolo. Non per rapinarci, ma per fare in modo che finalmente sia riconosciuto in modo concreto, e non teorico, il valore del lavoro domestico femminile.

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