Le città del futuro, post pandemia? Gli ottimisti le dipingono verdi e molto simili a città-giardino, i pessimisti grigie, inquinate, un inferno metropolitano simile a Gotham City. La domanda, però, resta valida: come immaginare le città dopo il Covid-19?
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LE CITTÀ DOPO IL COVID
C’è chi, invece, immagina le città del futuro, post Covid-19, pienamente integrate nella natura, tecnologicamente avanzate, eco sostenibili, piene di verde e di luce. Un sogno realizzabile? Forse sì, anche se la comunità dei paesaggisti e degli architetti dibattono ancora. Per questo, gli urbanisti parlano di “utopia” verde. Il Covid-19, e tutte le problematiche anche semplicemente di organizzazione degli spazi, hanno portato a un ulteriore step nel dibattito sulla salubrità delle grandi città, dopo “l’idea del secolo scorso sul beneficio della città-giardino contro l’inferno di Gotham City, e il suo successivo rovesciamento, per cui la metropoli compatta, densificata, è più sostenibile rispetto a quella divoratrice di suolo, priva di trasporti pubblici efficienti, energivora, oltre che più povera nelle relazioni sociali”, come sottolinea Francesco Rutelli in una riflessione sulle implicazioni del Covid-19 nella vita delle città nel suo blog sull’Huffington Post. Con la sua atmosfera grigia e decadente, i suoi edifici dalle tinte dark, la costante presenza di pioggia e la nebbia e uno sviluppo edilizio fatto di cemento e consumo di suolo è l’incubo distopico dello sviluppo delle città. Scura, piena di smog e malviventi: l’estremo opposto del continuum che va dall’archetipo felice della città giardino, all’oscura, criminosa città di Batman.
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LE CITTÀ DOPO LA PANDEMIA
La densificazione urbana, in particolare, è un concetto molto presente nelle riflessioni di chi si occupa delle metropoli, e, già nel 2017, studiando lo sviluppo urbanistico di Londra il professor Richard Burdett, docente di Studi Urbani alla London School of Economics, ha spiegato come, in estrema sintesi, il fenomeno dell’urbanizzazione contemporanea, potrebbe essere definito come un contrasto forte ed irreversibile tra diffusione e densità: città diffusa, dispersa e disconnessa fuori dalle metropoli e densificazione dentro. In entrambi i casi l’ambiente soffre a causa del consumo di energia, della mobilità e della disconnessione sociale, che comporta anche disagio sociale e condizioni di vita peggiori. Quel che è certo è che le città dovranno governare i cambiamenti radicali che la pandemia ha accelerato, a partire dal maggior consumo energetico derivante dall’aumento traffico di Internet, e l’impatto ecologico dei servizi logistici fino alle consegne a domicilio. I trasporti su ruota delle consegne e della delivery, infatti, sono una delle fonti primarie di inquinamento, insieme ai riscaldamenti domestici. Conseguenze maggiori ricadono senz’altro sul settore dei trasporti collettivo, che bisogna ripensare meno congestionati, ma anche, e soprattutto sul tema delle residenze e dell’immobiliare. Il verde in città dovrà assumere un ruolo fondamentale per la regolazione termica degli edifici e per l’ottimizzazione dei consumi energetici degli agglomerati urbani. Le persone, poi dopo mesi in spazi stretti, reclamano una vivibilità diversa, migliore. Lo spiega Rutelli in un’intervista sul tema rilasciata al quotidiano La Stampa: «Certamente. Siamo tornati, finalmente, ad apprezzare quello che quasi un secolo fa Le Corbusier indicava nella Carta di Atene: “Sole, verde, spazio sono gli elementi fondamentali dell’urbanistica”. C’è una grande aspettativa verso case meglio organizzate e più spaziose – visto che molti hanno imparato a lavorare da casa, e a studiare, non solo per coercizione – e c’è più domanda di spazi verdi collettivi ben gestiti».
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