di Antonio Galdo
Anche se clandestino, l’immigrato ha comunque diritto a sposarsi con un cittadino italiano. La Corte costituzionale, con una sentenza che farà molto discutere, ha di fatto cancellato l’articolo 116 del codice civile (integrato dalle norme sul pacchetto sicurezza del 2009) in base al quale uno straniero non ha diritto alle nozze se risulta sprovvisto di un regolare documento di soggiorno. Il caso era stato sollevato a Catania da una coppia italo-marocchina, il cui matrimonio civile era saltato proprio per la mancanza di un certificato che rendesse regolare, dal punto di vista giuridico, la posizione dello sposo.
Nella sentenza, scritta dal presidente Alfonso Quaranta, vengono fissati due principi che giustificano il provvedimento: innanzitutto i diritti della persona, a partire da quelli riconosciuti dalla Costituzione, vegono prima della status giuridico di un cittadino, in questo caso di un immigrato, come é stato sancito anche da una sentenza della Corte di Strasburgo; in secondo luogo la posizione non regolare dello straniero non può pregiudicare o comprimere il diritto di un italiano a contrarre un matrimonio secondo le procedure previste dalla legge. In punta di diritto la decisione della Corte costituzionale non fa una piega e afferma il valore di una civiltà giuridica che ha un suo primato rispetto a qualsiasi norma e come tale va sempre affermata. Dal punto di vista del merito, invece, il provvedimento dietro un’apparente contraddizione (un immigrato irregolare rischia l’espulsione, ma nessuno può impedirgli di sposarsi) apre un ennesimo varco del diritto, e dei suoi massimi custodi quali sono i giudici costituzionali, nella sfera della politica. Sempre più la giurispudenza sta allargando la rete dei riconoscimenti allo straniero, quasi spronando il Parlamento a scelte più aperte, più coraggiose, e meno condizionate da aspetti di ordine pubblico, sul delicato versante dell’immigrazione. L’obiettivo di un’integrazione a tutto tondo, riconosciuta anche attraverso la possibilità di sposarsi da clandestino, diventa prioritario nelle intenzioni della Corte. E se oggi é in discussione davanti ai giudici un matrimonio, domani potrebbe essere la volta del diritto al voto che pure da più parti viene considerato ormai maturo. Non a caso, nel difendere le ragioni di un marocchino bloccato al momento del sì con una cittadina italiana, i giudici costituzionali mettono le mani avanti e ricordano che questo tipo di impedimenti non rappresentano misure idonee per contrastare i matrimoni di comodo. L’immigrazione va governata, sembra dire la suprema Corte, e non ingessata in un rigore formale che non garantisce più sicurezza e crea solo discriminazioni e
separatezza: ma qui la parola decisiva più che ai giudici spetta proprio alla politica.
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