Ma quanto ci costano gli euroburocrati?

L’Europa continua a chiedere, giustamente, tagli dei bilanci pubblici dei singoli stati, laddove si annidano sprechi e privilegi, e combatte con la schiena dritta contro i paradisi fiscali che inquinano concorrenza , mercati e trasparenza. Tutte cose giuste, salvo il dettaglio di non applicarle a casa propria, tra Bruxelles e Strasburgo, dove da anni si […]

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L’Europa continua a chiedere, giustamente, tagli dei bilanci pubblici dei singoli stati, laddove si annidano sprechi e privilegi, e combatte con la schiena dritta contro i paradisi fiscali che inquinano concorrenza , mercati e trasparenza. Tutte cose giuste, salvo il dettaglio di non applicarle a casa propria, tra Bruxelles e Strasburgo, dove da anni si gonfia, senza pause e senza correzioni, la bolla degli euroburocrati.

I sindacati della categoria, che sono fortissimi, trasversali per nazionalità e corporativi da fare invidia alla più scatenata associazione di tassisti romani, alzano barricate, minacciano scioperi, invocano la privacy sui documenti contabili, ogni volta che viene messo in discussione anche una sola delle fonti di spreco del denaro pubblico gestito nel cuore dell’Europa (non) unita. Una rivolta si è scatenata, per esempio, a proposito della revisione della pianta organica della diplomazia dell’Unione: 8mila dipendenti, un costo di 3 miliardi di euro l’anno e 137 ambasciate sparse nel mondo. Anche alle Barbados, dove l’eurocrazia ha piazzato 44 dipendenti sul conto del budget dell’Unione.

Quanto agli stipendi, nessuno è escluso da questa fiera europea dei privilegi. Uscieri, segretarie e impiegate portano a casa, ogni mese, circa 6mila euro netti, sommando allo stipendio base alcuni ricchi fringe benefit, come per l’esempio l’iscrizione gratuita per i figli alla scuola europea. Grazie allo stesso meccanismo, replicato in proporzione e con benefit in aggiunta mano a mano che si sale di livello nella scala gerarchica, un euroburocrate di livello medio-alto arriva a 11mila euro netti al mese, quello ai vertici della catena di comando porta a casa quasi 20mila euro al mese.

I vantaggi, poi, raddoppiano, grazie al regime fiscale che viene applicato alle retribuzioni d’oro di Bruxelles e Strasburgo. E’ come se gli euroburocrati vivessero e lavorassero in uno di quei paradisi fiscali che la Ue vuole contrastare, e non hanno gli stessi livelli di tassazione ai quali sono sottoposti i loro colleghi nei rispettivi paesi di provenienza. Un privilegio cucito su misura, grazie anche a provvedimenti amministrativi che si sommano come i frutti dell’albero della cuccagna e dei quali nessuno conosce il quadro completo. In realtà, per fare chiarezza ed evitare anche generalizzazioni, basterebbe diffondere in Rete le informazioni su stipendi e benefit, rendendole così trasparenti e accessibili a tutti i cittadini che pagano le tasse con le quali viene finanziata l’euroburocrazia. Basterebbe poco, veramente poco, per mettere nero su bianco e chiarire le contraddizioni degli stipendi d’oro nel cuore dell’Europa. E sarebbe un gesto di doverosa civiltà, mentre proprio da Bruxelles e da Strasburgo si chiedono a tutti gli europei i sacrifici legati alle varie misure di contenimento della spesa pubblica. A tutti, tranne che agli euroburocrati.

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