La decisione era nell’aria: i tempi di realizzazione del Mose, il sistema di dighe mobili che dovrebbe proteggere Venezia dall’acqua alta, si allungano. Il cantiere non chiuderà, come era previsto dopo l’ennesimo cambio di calendario dell’opera, nel 2014 ma, se tutto andrà per il meglio, solo alla fine del 2016.
I finanziamenti procedono con il contagocce, i lavori vanno a rilento, le scadenze si allungano. E i costi lievitano: siamo già a 5 miliardi e 678 milioni di euro. Ma nessuno è in grado di dire se basteranno. La lezione del Mose è istruttiva perchè insegna due cose. Innanzitutto i cantieri-lumaca di opere pubbliche mai portate a termine non sono un’esclusiva della Sicilia e delle regioni meridionali: si sono moltiplicati in tutta Italia. In secondo luogo, allo spreco del tempo si abbina quello del denaro pubblico.
Il Mose è un progetto varato 25 anni fa, e dopo un quarto di secolo siamo ancora lontani dal traguardo. Agli inizi doveva costare l’equivalente di 1,6 miliardi di euro, adesso siamo già al triplo. E il rischio vero è che questo fiume di denaro non basterà e Venezia continuerà a vivere nell’incubo dell’acqua alta.
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