È strano, ma con le tecnologie abbiamo il più delle volte un rapporto sentimentale. Le amiamo oppure le odiamo, ci rendono dipendenti o ci respingono.
Ci pare che sia sempre la più recente quella che ci cambierà la vita: la nostra personale e quella della nostra azienda, dell’economia e i rapporti fra Paesi.
Ormai non c’è iperbole su Internet e i suoi derivati che suoni eccessiva: segna un passaggio di civiltà più del telaio a vapore, di Guttenberg e, perché no, più del fuoco e della ruota.
Ha-Joon Chang, con permesso, non concorda. Secondo lui la lavatrice ha cambiato il mondo più di Internet.
Ma che ne sa Ha-Joon Chang? È solo un sud-coreano che a quasi cinquant’anni si porta ancora dietro una faccia e una voce querula da studente undergraduate di Cambridge. In realtà Chang a Cambridge insegna a studenti postgraduate la «scienza triste», l’economia, ma forse perché secondo lui l’economia non è una scienza, ne parla senza alcuna tristezza.
Il suo ultimo libro s’intitola 23 Things They Don’t tell You about Capitalism, «23 cose che non vi hanno mai detto sul capitalismo», citazione da un Woody Allen d’annata («Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso…»).
Bene, secondo Chang la quarta delle 23 cose che non ci hanno mai detto è appunto che la lavatrice ha cambiato il mondo più di Internet.
Vogliamo fare il paragone?
Internet ha sì velocizzato le comunicazioni di 100 volte rispetto al fax, ma nell’800 il telegrafo ha velocizzato la trasmissione di una lettera dall’Europa all’America di 2.500 volte rispetto al battello a vapore.
Anche la rivoluzione innescata della lavatrice è ben più profonda.
La Us Rural Electrification Authority ha stimato a metà degli anni ’40 che la lavatrice riduceva i tempi di un bucato di 17 chili di sei volte (da 4 ore a 41 minuti) e il ferro da stiro elettrico riduceva l’impegno da 4,5 ore a 1,75. Nel 1906 I.M. Rubinow, inventore della lavapiatti, annunciò che quell’oggetto sarebbe stato «un benefattore dell’umanità».
Il tempo gli ha dato ragione, ma forse neanche il grande Rubinow aveva messo in conto tutte le conseguenze.
Queste tecnologie domestiche hanno distrutto una gran quantità di posti malpagati (nel 1870 una donna lavoratrice su due faceva la domestica), ma hanno sprigionato una forza enorme.
Le mogli e le madri hanno schiacciato il pulsante d’avvio delle lavatrici, sono uscite di casa e sono entrate nella società. Negli Stati Uniti, le donne bianche lavoratrici sono passate da quote minime nel 1890 all’80% di oggi. L’aumento dell’occupazione femminile a sua volta ha incoraggiato l’istruzione fra le donne e l’intera dinamica dentro le stesse famiglie è cambiata. Una donna può minacciare di andarsene e spesso lo fa.
La lavatrice (certo, non da sola) ha avuto un impatto dirompente sulle nostre vite. Per ora le ha cambiate più di Facebook.
A questo punto ho chiuso il libro di Ha-Joon Chang e ho acceso il computer. Nel blog della 27 esima ora, c’era un post di Luisa Pronzato: dice che le donne italiane svolgono in media cinque ore al giorno di lavoro non remunerato in casa propria, una quota record. Forse non è un caso se la loro partecipazione al lavoro nella società è fra le più basse d’Europa.
Ho spento il computer. Per un attimo, mi è venuta voglia di reinventare la ruota.
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