Si fa presto a definirle malattie rare: quelle che colpiscono cinque persone ogni 10mila abitanti. Ma un attimo dopo si finisce nel labirinto della medicina che ancora scava e moltiplica, con 504 patologie censite in un elenco del ministero della Salute e con una comunità scientifica internazionale che, a spanne, ne considera almeno altre cinquemila. E si finisce nella giungla del Servizio sanitario nazionale che galleggia nella palude, tra soldi che mancano e soldi che si sprecano. Il Consiglio d’Europa dal 2009 ci ha messo nell’angolo, chiedendoci come a tutti i paesi membri dell’Unione di mettere in campo un piano nazionale per le malattie rare, a partire dalla rete di assistenza per i pazienti, più di un milione di italiani.
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Dopo quattro anni, con un ultimatum sul collo, il piano deve decollare entro il 31 dicembre, siamo al punto zero. O meglio siamo a una bozza di proposta che però ancora non è in grado di certificare il numero di centri abilitati, si chiamano presidi, dove bisogna rivolgersi per questo tipo di patologie. Le regioni, che hanno in mano la cassa, hanno pensato bene di moltiplicarli portandoli a quota 650. Un numero indicativo perché 6 amministrazioni regionali (Molise, Veneto, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Basilicata e Lazio) non hanno ancora consegnato il loro elenco. In Francia, per restare nel club europeo, i centri sparsi sul territorio locale sono meno di 200, e i piani nazionali approvati dal 2009 sono già due, pienamente attuati, e perfino la disastrata Grecia ha il suo piano nazionale.
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MALATTIE RARE ESENZIONE. Nella giungla si contano 20 diversi modi, da parte delle diverse regioni, di declinare gli interventi standard per le malattie rare. Il tale farmaco è gratuito in una regione, ma si paga in un’altra. I servizi diagnostici sono concentrati al Nord (53 per cento), mentre al Sud si tira a sorte: li trovi in un presidio su cinque. Le differenze pesano, e moltiplicano la spesa sanitaria, invece di contenerla.
Diverse malattie rare si affrontano con dei farmaci che si chiamano “orfani” perché non vengono messi sul mercato a causa di una domanda insufficiente a coprire i costi: alcune regioni, sempre a macchia di leopardo, li reperiscono e poi pagano il conto. Novecento milioni di euro l’anno. Senza che nessuna autorità scientifica abbia stabilito quali siano i farmaci “orfani” realmente utili e senza che nessuna autorità dello Stato, leggi il ministero della Salute, abbia stabilito dei criteri di accreditamento di questi medicinali validi per tutti. Dal Trentino alla Sicilia.
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Il piano nazionale, magari applicato dalle regioni in modo uniforme, dovrebbe anche indicare una strada per spostare una parte significativa delle risorse pubbliche dai pagamenti per le lunghe degenze nei centri convenzionati al sostegno a casa. Specie per quelle malattie rare, come la Sla, che sono degenerative e dunque richiedono la badante, i pannoloni, i cateteri aggiuntivi.
Invece il malato di Sla che ha bisogno di assistenza continuativa finisce in molti casi nelle residenze sanitarie (quelle che fanno parte dei 650 presidi), sradicato dalla sua famiglia, con un costo (almeno 90mila euro l’anno) rimborsato dalle regioni e versato ai signori delle cliniche convenzionate.
A meno che non ha la fortuna si essere aiutato dall’unica rete che veramente funziona nell’universo delle malattie rare: centinaia di associazioni di volontari, spesso i familiari dei malati, che fanno la solita supplenza al welfare italiano in corto circuito.
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La giungla ha il suo punto di partenza proprio nel famoso elenco delle 504 patologie diffuso sul web attraverso il sito del ministero. E’ una lista che si è chiusa nel 2001, con l’impegno di aggiornarla ogni anno. Dopo 12 anni di attesa l’elenco è sempre lo stesso, come se il mondo, dalla medicina alla demografia, dalle scoperte scientifiche ai numeri della statistica, si fosse fermato.
Un aggiornamento con un altro centinaio di patologie, per la verità, è stato anche preparato, già da qualche anno, ma giace in attesa di giudizio negli uffici della Corte dei Conti. La magistratura contabile pare che abbia il terrore di sdoganare altre malattie rare, nel caos della giungla del servizio sanitario all’italiana, perché potrebbe significare solo un’ulteriore lievitazione dei costi. Ma intanto nessuno si è preso la briga di fare qualche cancellazione nella famosa lista.
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E così in Italia , caso unico al mondo, vengono considerate malattie rare la celiachia (che colpisce 1 italiano su 100) e la psoriasi (ne soffrono 2 italiani su 100), con la possibilità per i celiaci di ricevere un bonus annuale di 1.200 euro per l’acquisto di prodotti ad hoc per la loro patologia. Nella giungla, infine, affoga anche la ricerca, con tante eccellenze italiane nel settore delle malattie rare, si contano ben 60 molecole in sperimentazione per nuovi farmaci, ma con il buio totale sui criteri con i quali si assegnano i fondi.
«Il vero rischio, a questo punto, è restare fuori dall’Unione, con una confusione che copre una spesa spesso insensata e non aiuta fino in fondo chi ne ha veramente bisogno» commenta Bruno Dallapiccola che, fino alla scorso anno, ha rappresentato l’Italia al tavolo europeo per la lotta alle malattie rare. E non è mai stato sostituito.
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