MAMMA LICENZIATA DA IKEA
Non tutti i licenziamenti sono uguali. E non tutti i licenziamenti controversi possono essere risolti da un tribunale. La storia di Marica Ricutti, 39 anni, licenziata da Ikea, di fatto con un provvedimento disciplinare, è arrivata davanti al giudice del lavoro di Milano, e ha visto chiudersi il primo tempo con una sconfitta della lavoratrice. Lei parlava di un provvedimento «discriminatorio», chiedeva il reintegro e il risarcimento del danno, e invece il giudice ha convalidato il licenziamento. Ritenendolo più che motivato per i «comportamenti della lavoratrice che hanno leso il rapporto fiduciario».
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LA STORIA DI MARICA RICUTTI
Stiamo parlando, per inquadrare la storia, di una donna che ha molti problemi per rispettare gli orari di lavoro, specie in alcuni turni. Marica è separata, ha due figli piccoli, dei quali uno colpito da un’invalidità totale, e non riesce a conciliare sempre al meglio lavoro e famiglia. Ha usufruito dei permessi concessi dalla legge 104 per assistenza a genitori e figli disabili, ha negoziato con l’azienda un minimo di flessibilità negli orari, ma poi tutto è andato a rotoli e siamo arrivati al licenziamento e alla causa.
Proviamo un attimo ad andare oltre il merito del contenzioso, partendo dal presupposto che sia l’azienda sia la lavoratrice abbiano alcune ragioni, e poniamoci solo una domanda: Ma è possibile mai che in un caso del genere si debba arrivare a un licenziamento ed a una causa? Solo il giudice ormai può ricomporre un conflitto tra l’azienda e un singolo dipendente? La strada di una mediazione ragionevole non è stata tagliata troppo presto?
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MARICA RICUTTI LICENZIAMENTO IKEA
Mi faccio queste domande, perché ho approfondito, anche con un minimo di indagine giornalistica, la storia di Marica. E due cose sono certe. Il suo quadro familiare è molto complicato e compromesso, dunque non c’è un bluff nel suo atteggiamento. In secondo luogo, Marica non è una furbetta della 104, che si aggrappa alle leggi per restare a casa, né una incapace scansafatiche. È brava sul lavoro. Tanto che la stessa Ikea nel 2017 le aveva affidato la qualifica di coordinatrice del reparto Food. Dunque un incarico importante, una responsabilità data a chi la merita, un riconoscimento anche in termini di carriera: tutti motivi in più per convincermi che in un caso del genere non deve essere il tribunale a decidere (ovviamente i legali di Marica hanno già presentato appello), ma la ragionevolezza e il buonsenso delle controparti. Magari ricordandosi, reciprocamente, che nel rispetto delle regole sul lavoro, qui parliamo di una donna, di una persona, di una madre. E non solo di un numero di un organico e di un orario di lavoro.
(Fonte immagine: la Repubblica.it)
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