Le buche stradali? A Roma le riparano i detenuti, con un progetto di inclusione sociale utile e formativo

30 detenuti socialmente non pericolosi della sezione G8 del carcere di Rebibbia si mettono alla prova con lavori di manutenzione stradale. Per avere 4 ore di lavoro e libertà dopo un percorso formativo spendibile anche dopo la fine della pena. Un modello esportabile e replicabile

manutenzione strade detenuti

MANUTENZIONE STRADE DETENUTI

Le buche della pavimentazione stradale, croce senza delizia di amministratori, sindaci e commentatori da bar. Quelle di Roma, poi, sono diventate un triste fenomeno social, sulle quali si è ironizzato tantissimo. Un tripudio di meme, video divertenti, battute virali che hanno strappato un sorriso amaro agli automobilisti arrabbiati e preoccupati.
E, in effetti, il motivo di preoccupazione c’è. Spesso le nostre strade soffrono di mancanza di manutenzione e cura, e si corre il rischio, percorrendole, di riportare danni alle vetture, incorrere in piccoli sinistri quando non di cadere rovinosamente come nel caso di moto, motorini o mezzi a due ruote.

I problemi della manutenzione delle strade il più delle volte sono relativi alle voci di bilancio, più dissestate del manto stradale, ma spesso la soluzione si trova nei tanti, piccoli e capillari progetti di inclusione che le migliaia di cooperative organizzano sul territorio per dare nuove chance a detenuti o persone in condizioni di marginalità sociale. Come il progetto “Mi riscatto per Roma”, il primo di dieci interventi di pubblica utilità che coinvolgono 30 detenuti del carcere di Rebibbia. Li chiamano “detenuti asfaltatori”, impegnati in lavori di gestione e cura delle strade della Capitale in quartieri diversi: da Torre Spaccata a Corviale passando per Quartaccio e il quartiere Aurelio. Sono tutti detenuti condannati alla pena definitiva, i cosiddetti detenuti della sezione G8, non socialmente pericolosi.

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Foto tratta da Adnkronos

PROGETTO MI RISCATTO PER ROMA

Il progetto, firmato dopo un accordo tra Autostrade per l’Italia, Roma Capitale e il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, non è solo un modo per reinserire nel tessuto economico e lavorativo i detenuti, ha la visione di formarli in senso più ampio dando loro competenze spendibili anche dopo il fine pena.
I 30 asfaltatori al lavoro per le strade di Roma hanno infatti conseguito un regolare attestato, valido e riconosciuto, dopo una formazione di tre mesi curata dai tecnici di Autostrade. Accompagnati dalla polizia penitenziaria e da tutti gli strumenti e i macchinari utili allo scopo, i detenuti, volontari gestiti dal Comune in due squadre da 15, ripareranno tutti i giorni le buche con asfalto a caldo, puliranno i tombini e le strisce pedonali.
Ma non è l’unico intervento che gli ospiti del carcere romano di Rebibbia si troveranno ad affrontare. A fine marzo, infatti, almeno altri 75 di loro, di cui 50 della sezione G8 e 25 di altri reparti, si uniranno alle squadre di raccolta rifiuti.

In città, comunque, era già stato approntato un progetto pilota di reinserimento sociale che aveva a che fare con la manutenzione e la gestione del verde pubblico: 40 detenuti che ogni mattina lasciano il carcere per pulire le aree verdi e i parchi della capitale per 4 ore al giorno.

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LAVORI PUBBLICA UTILITÀ DETENUTI REBIBBIA

Il modello Roma sembra essere un modello esportabile e vincente, visti e considerati i tanti progetti che gravitano intorno alla casa circondariale di Rebibbia e ai suoi ospiti: non solo lavori di pubblica utilità, ma anche scrittura creativa, una torrefazione, un birrificio e la sartoria.
Se la pena, nell’orientamento giuridico italiano, deve avere una finalità rieducativa e non prettamente punitiva, è il caso di osservare che occorre implementare i progetti di reinserimento rendendoli modelli e format applicabili a tutte le carceri. Solo così avremo la certezza di stare andando nella giusta direzione, come tutte le detenute e tutti i detenuti che possono tornano a sperare in un’altra occasione.

(Immagine di copertina- fonte: Radio Colonna)

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