Matteo Renzi lo ha detto nel discorso della vittoria alla segreteria del Partito Democratico: ora tocca ai quarantenni. Con il nuovo gruppo dirigente, chiamato in campo dal sindaco di Firenze, una nuova generazione ha preso di fatto il comando della sinistra italiana. Certo, se diamo uno sguardo a quanto avviene in Europa e negli Stati Uniti da sempre, dobbiamo recuperare ancora molto terreno, ma la velocità del cambiamento è impressionante.
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IL PARLAMENTO PIU GIOVANE. Già alle ultime elezioni politiche, avevamo avuto i primi segnali: dal risultato delle urne è uscito il Parlamento più giovane della storia repubblicana, con un’età media dei deputati di 45 anni (9 in meno rispetto alla precedente legislatura) e dei senatori di 53 anni (4 in meno rispetto alla precedente assemblea di Palazzo Madama). Con tanti giovani in Parlamento, però, si è visto anche tanto caos, e tanti dilettanti allo sbaraglio, al punto che per mettere un punto fermo, a un passo dal precipizio, una delegazione bipartisan è dovuta andare al Quirinale per pregare Giorgio Napolitano, 88 anni ma un’energia e una lucidità politica da cinquantenne, di restare al proprio posto per un secondo settennato.
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I LEADER NEL RESTO DEL MONDO. Lo scatto generazionale in politica inizia rallentare se passiamo dal Parlamento e dalle primarie Pd (aggiungiamo anche la nomina del quarantenne Matteo Salvini al vertice della Lega) a Palazzo Chigi. Enrico Letta ha 47 anni: in Inghilterra David Cameron è diventato primo ministro a 43 anni, mentre negli Usa Barack Obama èarrivato nel posto di potere più importante del Pianeta ancora quarantenne. Intanto noi italiani siamo rimasti inchiodati a Silvio Berlusconi, alfa e omega del suo ventennio, oggi ancora in campo da leader a 77 anni, contrastato, nel ventennio, in modo efficace solo da Romano Prodi, che il 9 agosto scorso ha compiuto 74 anni.
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LA CLASSE DIRIGENTE VECCHIA. In realtà il problema del ricambio generazionale non è tutto da mettere in conto alla politica. È la classe dirigente italiana nel suo complesso a essere vecchia. Università: un quarto dei professori italiani ha più di 60 anni, contro poco più del 10% dei docenti francesi e dell’8% degli accademici inglesi. Forse anche per questo università e scuola in Francia e in Inghilterra rappresentano eccellenze mondiali. Banche: i consiglieri di amministrazione delle banche italiane hanno 5 anni in più rispetto alla media europea, e guadagnano il doppio dei colleghi tedeschi. Aziende: l’età media dei presidenti e degli amministratori delegati delle principali società a partecipazione pubblica sfiora i 62 anni, e nel privato non si vedono tanti “giovani leoni” in campo, anche perché talvolta i figli non hanno la caratura dei padri.
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NON È SOLO QUESTIONE DI ANAGRAFE. Per concludere, una bellissima frase di Aristotele: “Non c’è vecchio senza nuovo, e non c’è nuovo senza vecchio”. In un Paese “normale” il ricambio generazionale non è un problema di nuovismo, o solo di carta d’identità. È la cifra di un sistema Paese che funziona, e di una società che ha il senso e la voglia del futuro. Di giovani in campo, magari affiancati e accompagnati da quei vecchi che, in alcuni casi, sono ancora indispensabili.
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