MEMORIA E INTERNET – Adesso che i social network, con la potenza propulsiva della Rete, si sono piazzati al centro del dibattito pubblico, adesso che non esiste battaglia civile o propaganda politica senza l’uso a tappeto di questi strumenti, possiamo chiederci: quanto resta di tutto ciò? E quanto riescono ad incidere realmente nel tessuto di una società e nei suoi cambiamenti le battaglie attraverso il web? Se scorriamo l’album di grandi mobilitazioni globali messe in moto dalla Rete, dal movimento Occupy Wall Street contro il potere oscuro della finanza alla Primavera araba che ci aveva fatto sognare qualche lampo di democrazia in regimi dispotici e autoritari, dobbiamo riconoscere che il bilancio, nel medio termine, è magro. Molto magro. Alla velocità supersonica dei messaggi, alla forza istantanea di un’adesione collettiva attraverso facebook o twitter, ha corrisposto nel tempo un meccanismo, quasi identico in ciascun avvenimento, di rimozione. Come se l’opinione pubblica, spentosi l’entusiasmo iniziale per una battaglia, sia passata in blocco e con altrettanta rapidità alla mobilitazione successiva.
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INTERESSE USA E GETTA – Sulla rivista Foreign Policies, Lauren Wolf passa in rassegna alcuni grandi eventi sui quali il web ha mostrato al massimo la sua forza muscolare: dal conflitto arabo-israeliano al neo-femminismo, dagli eccidi in Siria alle bombe sulla striscia di Gaza, fino alle proteste per salvare i baby-soldati in Africa. Milioni di tweet indignati, da ogni parte del Pianeta, milioni di like su Facebook per iscriversi al partito di chi aderisce alla protesta. Una spinta impetuosa, e velocissima. E dopo? Poca memoria e molta facilità di annoiarsi, un interesse usa-e-getta, che non si radica e non produce solida empatia: quanto basta, osserva Lauren Wolf, per passare, con un meccanico automatismo, alla prossima calamità, al prossimo evento sul quale intervenire. Senza così lasciare alcuna traccia sul campo della nostra partecipazione. E semmai riproponendo l’interrogativo che David Carr, uno dei più autorevoli critici della forza di cambiamento della Rete, pose già due anni fa: “Se qualcosa “ci piace” significa davvero che ci interessa?”
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TROPPE INFORMAZIONI – La voragine che si apre tra la partecipazione dell’opinione pubblica, a rischio evaporazione, e la sua tenuta nel tempo, è legata a due fattori che combinano questo meccanismo di comunicazione: la velocità e la quantità delle informazioni. Sui tempi non c’è molto da aggiungere al fatto che non esiste messaggio più rapido, più immediato, di quello che corre sui fili del web. Sulla quantità, invece, basta tenere presente un numero: le informazioni che assumiamo ogni giorno, a ciclo continuo, corrispondono a quelle contenute in 174 giornali. Un diluvio. E laddove esiste quello che gli anglosassoni definiscono il rischio information overload, cioè il sovraccarico di materiale, in automatico scatta il paradosso dell’asino. Ovvero, la nostra testa riesce a riempirsi di informazioni, come la gobba di un asino, ma poiché sono tante e troppe non riusciamo più neanche a comprenderle. E così ce ne distacchiamo senza che nulla ci resti addosso in termini di memoria e di autentica partecipazione.
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COMUNICAZIONE POLITICA – Se esiste un settore del dibattito pubblico che più di ogni altro incorpora questi rischi, fino a farli diventare endemici, è quello della comunicazione politica. Mano a mano che la potenza dei social e la loro diffusione si sono allargate, la divisione del campo, e delle funzioni, tra i media, si è andata sempre più strutturando. Oggi un uomo politico, un ministro, un assessore, non potrebbero prescindere da quelle grandi platee dei 25 milioni di utenti registrati su Facebook e dei 5 milioni iscritti a Twitter. Con una evoluzione tecnologica in continuo divenire: dei 25 milioni di utenti Facebook sono già 15 quelli che vi accedono attraverso tablet, cellulari e smartphone, strumenti dove l’elemento della velocità è ancora più significativo. A questo punto, se confrontiamo lo schema della comunicazione politica con i vecchi strumenti, arriviamo alla seguente distribuzione delle funzioni. Il messaggio su Twitter, con la sua stringatezza dei 140 caratteri, assolve la funzione del vecchio comunicato stampa. Il post su Facebook , una sorta di maxi-bacheca, è il vecchio manifesto che mobilitava iscritti e simpatizzanti, e appariva sui muri delle strade o negli appositi spazi delle fabbriche e delle università. L’intervista sulla carta stampata è lo scambio di prese di posizione per gli addetti ai lavori: una sorta di sequenza di messaggi cifrati che passano attraverso la rete della carta stampata. La tv, a partire dai talk show, è il comizio in piazza, l’agorà della battuta, del sorriso ammiccante, dell’attimo fuggente sul quale si misura la popolarità di un uomo politico. E se sei bravo a superare questo esame, la televisione diventa anche il luogo prediletto per selezionare classe dirigente e carriere.
PARTECIPAZIONE LABILE – Dove sta la fragilità del meccanismo? Esattamente in quello che abbiamo visto a proposito delle grandi mobilitazioni su temi internazionali. L’eccessiva velocità, abbinata alla quantità di informazioni, rendono labili la memoria, la partecipazione e la stessa adesione. La mobilità dell’elettorato non è più figlia della fine delle ideologie, consumata ormai da quasi un quarto di secolo, quanto di questo flusso infinito e rapidissimo di messaggi. Tutti a rischio evaporazione. Con una doppia deresponsabilizzazione: a forza di continue prese di posizione, e magari di promesse, il politico non ha il tempo per risponderne ed il suo elettore non ha il tempo per chiedergliene conto.
CAMBIAMENTO DI SCENARIO – Il cambiamento di scenario è relativamente recente: era il 29 gennaio 2012 quando la notizia della morte dell’ex presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, non arrivò con un’agenzia, ma attraverso un cinguettio di un professore universitario, Alberto Gambino, amico di Scalfaro. Da allora abbiamo visto un partito nato ed esploso attraverso i social, Il Movimento Cinque Stelle, e un capo del governo, Matteo Renzi, che ogni giorno twitta una promessa, un impegno con gli elettori e con i cittadini, una scommessa da vincere a brevissimo termine. Con l’asta delle aspettative spostata sempre un centimetro più in alto. La domanda è: fino a quando funzionerà?
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