Provate a fare una ricerca su Google, con la parola Movida violenta, e avrete un risultato incredibile: 4 milioni e 280mila articoli. Un panorama plumbeo che avvolge l’Italia giovanile nello spreco collettivo del tempo libero, dell’amicizia, della voglia di stare insieme, e trasforma tutto ciò in una rissa a ciclo continuo.
MOVIDA VIOLENTA
Non esiste una regione, una sola, che sfugge a questo ciclone di violenza senza senso, e senza una specifica motivazione. Ecco un repertorio solo degli ultimi episodi. Maxi rissa a Trastevere, nel cuore di Roma. Due ricoverati a Milano per la movida violenta nei Navigli. Baby gang all’opera con le mazze da baseball al Vomero, a Napoli, il quartiere dove risiede anche il sindaco Luigi De Magistris. Quattro ragazzi accoltellati a Genova, uno ridotto in fin di vita.
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Tra le tante spiegazioni che abbiamo letto sul recente inasprirsi del fenomeno Movida violenta c’è quella da lettino di psicoanalisi. In estrema sintesi: i ragazzi italiani, caso unico al mondo, sarebbero stati colpiti in modo particolare dal trauma del lungo lockdown, e una volta usciti di casa, liberi, hanno sfogato con la violenza le loro frustrazioni.
Tesi ardita, forse anche suggestiva per come viene infiocchettata da uno psicoanalista di gran moda, come Massimo Recalcati, ma con tutto il rispetto per la sua competenza, la relazione tra il trauma Covid 19 e la dilagante violenza giovanile non ci convince affatto. È una forzatura che non aiuta a spiegare il fenomeno, ma semmai crea un alone di alibi rispetto a una minoranza di giovani che avvelenano da sempre le notti della maggioranza, anche chiassosa ma non certo violenza.
Risse conseguenti al lungo isolamento è un’equazione che si smonta facilmente partendo dall’inizio. La movida violenta esiste da anni, molti anni, e lo sanno bene le povere comunità di residenti, vittime del caos e prigionieri di quanto accade, puntualmente, ogni fine settimana. È un fenomeno che risale a molto prima del coronavirus, e i dati non sembrano confermare questa spinta da post Covid 19. Forse c’è un effetto ottico: visto che strade e locali sono stati chiusi per mesi, adesso che hanno riaperto abbiamo la sensazione di trovarci di fronte a un’improvvisa esplosione della violenza giovanile.
VIOLENZA MOVIDA
Piuttosto, c’è da dire che nonostante tante denunce, tante analisi sociologiche del fenomeno, e tanti appelli a intervenire, nessuno è stato in grado di mettere in campo risposte efficaci. I sindaci, impotenti o assenti, hanno pensato bene di cavarsela con una pioggia di ordinanze. Le solite multe, i soliti controlli: tutto piuttosto inutile di fronte alla portata del fenomeno. E sono decisamente diminuite le offerte alternative da parte delle amministrazioni comunali per dare spazi e opportunità alternative rispetto alla banalità del rito della movida notturna. Concerti, spettacoli, manifestazioni in piazza: tutto si è ridimensionato, laddove prima esistevano dei veri e propri calendari pieni di Estate in piazza. E molto adatti per il pubblico giovanile.
La violenza giovanile va prevenuta anche con iniziative di questo genere. Specie se consideriamo che ad alimentarla ci pensa, ogni giorno, il linguaggio che usiamo nei rapporti personali, nella discussione pubblica. In un programma televisivo come in una serata tra amici. La violenza è diventata un insostenibile stile di vita quotidiano e il muro che separa quella verbale da quella fisica è di cartapesta. Così come sono in eclissi le autorità chiamate a proteggere i giovani dalla deriva verso la violenza. Nelle scuole, solo per fare un esempio, gli insegnanti non vengono più rispettati, prima che dai ragazzi, dai loro genitori, pronti anche ad aggredirli se i figli hanno risultati scadenti. Già, i genitori.
RISSE MOVIDA
Prima ancora delle amministrazioni, dei sindaci, delle autorità politiche, vorremmo sapere dove sono finiti i genitori di questi ragazzi. Sono informati della movida violenta? Sanno quando e come i loro figli vi partecipano? Hanno dato un occhio ai risultati di Google con questa parola ricercata? I protagonisti delle risse, se andate a vedere da vicino i singoli episodi, sono in gran parte minorenni, in età adolescenziale, molto delicata. Nessuno vuole insegnare il mestiere di genitore, ma forse invece di rincorrere le nuvole rassicuranti delle spiegazioni freudiane, del coronavirus come parola chiave per giustificare qualsiasi violenza, sarebbe il caso di scendere in campo. O meglio: in piazza, a dare un occhio da vicino su come i figli vivono le lunghe notti di estati sempre più violente. E sempre più fuori qualsiasi controllo.
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